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GLI INTRIGHI

DEL COLLIER

DURANTE IL REGNO

DI

MARIA-ANTONIETTA

 

Michele E. Puglia

 

 

SOMMARIO: L’ANTEFATTO; LA MARCHESA DI BOULAINVILLIERS SI PRENDE CURA DI GIOVANNA; IL GIOVANE VALOIS MOZZO SU UNA NAVE ENTRA NELLE GRAZIE DEL BARONE DI COURCY; IL DISATROSO INCONTRO DI COLAS CON MARIANNA; GIOVANNA SPOSA IL GIOVANE DE LA MOTTE MA VIVONO NELL’INDIGENZA; LA CONOSCENZA DEL CARDINALE DE ROHAN SEGNA IL DESTINO DEGLI SPOSI;  LA COLLANA E IL CARDINALE DE ROHAN (In Nota: IL CARATTERE DI MARIA ANTONIETTA); LA CONTESSA DE LAMOTTE E I FANTASIOSI INCONTRI CON LA REGINA; LA NUOVA VITA DISPENDIOSA DEL CONTE E DELLA CONTESSA DE LAMOTTE; LE PREOCCUPAZIONI DEL CARDINALE ROHAN; L’ARRESTO DEL CARDINALE DE ROHAN; E DELLA CONTESSA LAMOTTE-VALOIS; LA CONTESSA RITIENE ROAN SUCCUBO DI CAGLIOSTRO (In Nota: Cagliostro secondo W. Goethe); VI PRESENTO IL CONTE DI SAINT-GERMAIN; SAINT-GERMAIN CHIEDE ALLA CONTESSA D’ADHEMAR DI VEDERE LA REGINA; LA SUA TERRIFICANTE PROFEZIA DI SAINT-GERMAIN SPAVENTA MARIA-ANTONIETTA; LA REGINA RIFERISCE LA PROFEZIA A LUIGI XVI; LA SENTENZA DELLA GRAN CORTE E LA FINE DELLA LAMOTTE; - 1793 - IL TRIBUNALE RIVOLUZIONARIO CONDANNA MARIA-ANTONIETTA ALLA PENA CAPITALE; DESCRISIONE  E VALORE DELLA COLLANA.

 

 

L’ANTEFATTO

 

 

A

 Bar-sur-Aube (Champagne) vi erano due famiglie con lo stesso cognome (*), che si tendeva a confondere, una era quella del padre della contessa Jeanne de Lamotte,  decaduta nella classe borghese nell'arco di sessant'anni; l'altra di nobiltà antichissima, stabilita a Braux-le-Comte dove possedeva (nel periodo degli avvenimenti della collana) terre e feudi considerevoli, di cui un rampollo era attualmente ufficiale nel Reggimento d’Artois-Fanteria sotto il nome de la Motte-d’Arsonval; questa famiglia aveva lo stemma d'azzurro al capo  irregolare (lambello) d'oro, sormontato a destra da una stella d'argento.

Alla prima di queste due famiglie, apparteneva il barone Giacomo di Saint-Remy, padre di Jeanne-Giovanna, originario della provincia di Champagne che si riteneva discendente da un figlio naturale di Enrico II e della sua amante Nicole de Savigny, signora di Saint Remy.

Il barone sosteneva che il suo tris-trisavolo (risalente alla settima generazione), Enrico di Saint-Remy, gentiluomo di Camera di Enrico III, fosse figlio naturale di Enrico II, il quale aveva assegnato a Nicole de Savigny, con una lettera (datata 26 febbraio 1577, ma inesistente) trentamila scudi, di cui era stata rilasciata regolare ricevuta; da ciò sarebbe derivato lo stemma del barone, d'argento alla fascia d'azzurro caricata di tre fiori di lys (gigli d'oro che denotavano l’appartenenza alla famiglia reale!).

La scrittrice madame Campan (Memoires, Paris, 1823) racconta che Luigi XIII aveva chiesto al discendente di questi pretesi Valois, che viveva in campagna a Gros-Bois e non si faceva vedere a Corte, cosa facesse sempre in campagna e lui rispose: “Sire faccio ciò che io devo”; poco tempo dopo si scoprì che, poco nobilmente, si occupava della produzione di  monete false!

Gli storici che ritenevano vera la paternità naturale del figlio di Enrico II, non avevano alcuna prova, all’infuori di personali convinzioni, per cui era piuttosto difficile potersi convincere che le origini della contessa de Lamotte potessero risalire a un figlio di Enrico II, seppur naturale.

In ogni caso lo stemma come è stato descritto, risultava registrato per essere stato presentato all’Intendente di Champagne, de Caumartin, quando Luigi XIV aveva emanato l’editto di "conferma della nobiltà” nel 1667 (ricordiamo che quando Luigi XIV voleva spremere la nobiltà che non pagava tasse e raccogliere fondi, emanava questo genere di  ordinanze di “verifica della nobiltà”, in base alle quali si passavano in rassegna e si regolarizzavano titoli e stemmi).

Peraltro, l’Intendente non aveva vagliato, né aveva espresso alcun giudizio, sulla documentazione presentata dai Saint-Rémy e questo mancato approfondimento era dovuto al fatto che l'intento perseguito dal re era quello di rastremare danaro, tra la nobiltà; così avveniva che erano anche regolarizzate molte posizioni irregolari, particolarmente di coloro che avendo disponibilità di danaro, riuscivano a questo modo a farsi nobilitare, presentando documentazione artefatta.

Anche da parte della famiglia del barone di Saint-Remy si era provveduto a far  regolarizzare la propria posizione (ripetiamo, con la registrazione dello stemma e del titolo), mentre la discendenza dal figlio naturale di Enrico II (della quale, in particolare  la figura di Jeanne-Giovanna, aveva tanto esaltato lo storico Michelet, da ritenere fosse la personificazione dei Valois!), non risultando documentata da prove certe, si poteva ritenere molto dubbia; comunque se questa discendenza fosse stata veritiera, i suoi esponenti non se n’erano mostrati altrettanto degni.

Il barone, dal fisico atletico, si era ridotto a vivere di caccia, danneggiando i boschi, raccogliendo frutti selvatici e rubando in quelli coltivati; in queste condizioni aveva dissipato ciò che rimaneva del suo già povero patrimonio; egli inoltre, senza alcuna considerazione per la propria nascita e per sé stesso, frequentava contadini grossolani e volgari e per diversi anni aveva abitato presso una figlia di contadini che aveva preso al suo servizio e dopo aver avuto il primo figlio, l'aveva sposata.

Questa donna, senza moralità (nella descrizione del genero del barone, de Lamotte), “aveva un fisico slanciato ed elegante, dei begli occhi blu, lunghe palpebre, sopracciglia perfettamente arcuate e uno sguardo dalla espressione indefinibile, una bella capigliatura di un bruno scuro che le cadeva sulle spalle”; essa aveva colpito il barone, ma non era stata in grado di toglierlo dalla dissolutezza in cui era caduto, anzi ve lo spingeva di più di giorno in giorno e lei stessa conduceva una vita libertina.

Dopo avergli dato un primo figlio, l'anno seguente (1756) gli nasceva la figlia Giovanna e l'anno successivo (1757) un’altra figlia alla quale era stato dato il nome di Marianna.

La irresponsabile condotta del barone li condusse definitivamente alla totale rovina;   aveva infatti venduto  la terra di Fontette, in prossimità di Bar-sur-Aube, appartenuta alla sua famiglia, dissipando il danaro ricavato; poiché i creditori lo avevano minacciato di farlo imprigionare, decise di fuggire con la moglie e i figli e di andare a rifugiarsi a Parigi.

Poiché la figlia Marianna non era ancora in grado di camminare, il padre decise di lasciarla e portare con sé gli altri due figli; egli aveva alle sue dipendenze un lavoratore di nome Durand, padrino di Marianna, che, messa in una cesta fu lasciata su una finestra della sua casa e i due genitori si allontanarono con gli altri due bambini.  

Giunti dopo diversi giorni a Parigi, non riuscendo a trovare lavoro, decisero di recarsi a Boulogne, dove conoscevano il curato, il quale li ospitò dando loro caritatevolmente da mangiare; la donna era ancora una volta incinta di un'altra figlia che morì appena nata.

Nel frattempo il barone si ammalò e portato all'Hotel de Dieu, morì (1762) all'età di quarantaquattro anni; la sua morte non aveva suscitato alcun dispiacere nella moglie che si consolò legandosi a un soldato di nome Raimondo il quale, appropriatosi del titolo del defunto, mendicava pubblicamente con il nome di barone di Valois alla porta delle Tuilleries, ma fu arrestato e bandito per cinque anni e di lui non si seppe più nulla.

La madre di Giovanna decise di tornare a Fontette; il buon curato che aveva provato a trattenerla, non riuscendo a convincerla, le diede del danaro per il viaggio; lei, partì col figlio, portando con sé tutti i documenti del marito, mentre Giovanna rimase con il curato che le fece apprendere a leggere e scrivere e quando raggiunse l'età di poter lavorare, la mise in apprendistato e dopo poco tempo Giovanna era in grado di cucire e ricamare alla perfezione.

 

 LA MARCHESA
DI BOULAINVILLIERS

SI PRENDE CURA

DI GIOVANNA

 

 

L

a marchesa di Boulainvilliers aveva visto per caso i lavori di Giovanna e decise di concederle la sua protezione; Giovanna, dal suo canto, cercò di guadagnarsi la sua stima e amicizia; a causa del suo carattere altero e ambizioso, che non le consentiva di condurre una vita oscura, per realizzare i suoi desideri, incominciò a mostrare l’interesse per gli intrighi, che saranno la causa della sua fortuna e nello stesso tempo delle sue sventure.

Di lei l’abate Georgel aveva scritto che “senza avere particolari doti di bellezza, era ornata di tutte le grazie della giovinezza; la sua fisionomia era vivace e attraente; si esprimeva con facilità; un'aria di sincerità in ciò che diceva metteva la persuasione sulle sue labbra; si vedrà presto che le sue apparenze seducenti nascondevano l'anima e il talento magico di Circe”.

Come tutti gli avventurieri, Giovanna non mancava di talento e di fascino (v. in articoli: Doktor Faust ecc.) ed era dotata di spirito vivo e penetrante; di fronte alla marchesa, incominciò a mostrarsi triste e malinconica; la marchesa accortasi del turbamento in cui Giovanna era caduta, ne volle conoscere il motivo; lei, pur essendo preparata a rispondere, si trattenne dal farlo, per eccitare ulteriormente la sua curiosità, ma poi, finalmente, dopo varie insistenze, le raccontò a suo modo, la sua storia.

Le disse, in maniera ampollosa, che non era nata per il rango che attualmente ricopriva, ma i suoi antenati avevano avuto i primi posti presso la Corte e “la loro origine si perdeva in quelle dei nostri re – aggiungendo – il sangue dei Valois scorre nelle mie vene e la sfortuna ha perseguitato i miei avi che hanno governato i francesi"; aveva quindi raccontato come suo padre avesse perduto  tutti i beni che possedeva, come infine era morto in miseria a Parigi per colpa dei creditori. 

La marchesa, presa da questo racconto, decise di tenerla nella sua casa, considerandola più che un’amica, una sua figlia, e aveva subito scritto una lettera alla madre a Fontette: ma la lettera non fu consegnata in quanto la madre da alcuni anni era scomparsa e si ignorava dove fosse andata; dopo esser vissuta per un certo periodo con suo figlio, un bel giorno, gli aveva consegnato i documenti del padre e, salutandolo, si era allontanata da Fontette.

Anche il giovane barone di Sait-Remy-Valois decise di andare a cercare fortuna altrove e dopo aver salutato la sorella Marianna (che viveva presso Durand) si recò a Tolone dover si imbarcò sulla prima nave che lo aveva assunto come mozzo.

 

 

 IL GIOVANE VALOIS

MOZZO

SU UNA NAVE

ENTRA NELLE GRAZIE

 DEL MARCHESE

DI COURCY

 

 

I

l giovane barone non avendo potuto trovar di meglio, si accontentò del suo stato; lavorava con ardore ed era di esempio per i suoi compagni, facendosi chiamare semplicemente Valois; sulla stessa nave si trovava in viaggio il marchese di Courcy il quale, avendolo sentito chiamare Valois, colpito dal nome, lo interrogò sul suo paese d'origine.

Il mozzo gli aveva detto di avere dei documenti sulle sue origini e il marchese gli chiese di vederli; il giovane in un primo momento si mostrò recalcitrante, ma dopo che il marchese lo aveva minacciato che gli avrebbe fatto soffrire la fame, glieli mostrò.

Il marchese ne prese visione non senza grande meraviglia e la sua sorte lo colpì tanto  che nel restituire i documenti gli scrisse un biglietto in cui diceva che il giovane barone non poteva continuare a occupare il posto occupato attualmente, ma era degno di un posto più onorevole, per il quale gli avrebbe dato tutto il suo aiuto.

Il marchese si preoccupò di fornirgli, a sue spese, un nuovo guardaroba, di fargli assegnare altri incarichi in modo da metterlo in condizione di poter, un giorno, comandare una nave.

Le cose erano a questo punto quando la marchesa di Boulainvilliers, non avendo ricevuto risposta alla sua lettera, sollecitata da Giovanna, che in base ai suoi piani (di farsi riconoscere discendente dei Valois) aveva bisogno di mostrare alla marchesa i documenti di famiglia che riteneva fossero nelle mani della madre, le suggerì di richiedere al curato di Fontette il suo certificato di battesimo e notizie della madre e del fratello.

Il parroco inviò il documento e fece sapere che il fratello e la madre già da alcuni anni erano scomparsi, mentre Marianna era ancora presso Durand, che continuava a farle da padre.

Il marchese di Courcy era in relazione epistolare con la marchesa di Boulainvilliers e le scrisse relativamente al barone, riferendo tutti i particolari di cui era venuto a conoscenza, dicendole che lo avrebbe portato a Parigi per presentarlo al re.

La marchesa emozionata dalla notizia, rispose al marchese che una delle sorelle era presso di lei e aveva intenzione di organizzare un incontro tra le due sorelle e il fratello, desiderosa del riconoscimento di tre Valois.

L'appuntamento fu quindi fissato entro i successivi due mesi; nel frattempo la marchesa inviò a Durand venticinque luigi per il viaggio di Marianna a Parigi.

Durand e la moglie erano giunti a una età avanzata e avevano pensato di dare una sistemazione a Marianna, facendola sposare a un vicino, giovane e bravo contadino di nome Colas, che aveva mostrato interesse per lei; nel frattempo giunge la lettera della marchesa che lungi dal creare una gioia, scombussolò questi piani perché Marianna non aveva nessuna intenzione di andare a Parigi e chiese a Durand di non portarla con sé; ma Durand che era persona di buon senso, riuscì a convincerla che la soluzione migliore fosse quella di andare a Parigi e lei alla fine acconsentì.

Giovanna non era stata informata dell'arrivo di suo fratello, mentre nel frattempo giungeva presso la marchesa, Durand con Marianna; fu così che i tre fratelli si ritrovarono dopo quindici anni.               

La richiesta al re Luigi XVI, era stata presentata tramite il ministro Maurepas (v. sotto) ed era stata accolta; quando il giovane barone si presentò al re, il monarca gli chiese se accettava di entrare nell'ordine ecclesiastico; il barone ebbe la prontezza di rispondere che "servire il proprio re era come servire il proprio Dio", che piacque al re, il quale, non solo lo gratificò di una pensione di ottocento lire (*), ma furono pensionate anche le sue due sorelle.

Presso la marchesa, Giovanna subiva le assidue premure del marchese di Boulainvilliers al quale i libertinaggi che si erano verificati a Corte quando regnava Luigi XV (v. Art. Amanti e favorite ecc.) avevano messo la voglia di sedurre la ragazza; una notte si presentò nella sua stanza in camicia da notte, pantofole e lanterna, ma incontrò le sue resistenze e il giorno seguente Giovanna decise di andar via.

Con la sorella entrarono in una comunità religiosa per completare la loro educazione, mentre il fratello col tempo avanzava di grado, divenendo luogotenente di vascello e a ventotto anni gli veniva assegnata la croce dell’Ordine di san Luigi.

Giovanna e Marianna dopo aver passato qualche tempo nell'abbazia di Longchamps presso Pessy, decisero di tornare a Bar-sur-Aube dove avrebbero condotto una vita più consona al loro nuovo stato, ritenendo che per la riconosciuta loro nascita avrebbero avuto estrema considerazione e ricevuto gli omaggi dalle persone più qualificate della cittadina.

 

*) Le lire sono le livres francesi.

 

IL DISASTROSO

INCONTRO

DI COLAS

CON MARIANNA

 

 

L

e due sorelle erano state raccomandate alla signora Chausse de Suremont, moglie del Prevosto della cittadina di Bar-sur-Aube, dalla quale furono prese a pensione (a 400 lire ciascuna), senza che fosse dato peso alle critiche e alle storielle che si raccontavano sul loro conto e su quelle del padre e della madre.

Tra le persone che visitavano la signora de Suremont, vi era la signora de Lamotte vedova di un ufficiale della Gendarmeria, con la quale le sorelle strinsero amicizia.

Questa signora aveva un figlio che serviva presso lo stesso corpo del padre, il quale  era andato a passare qualche mese dalla madre e aveva conosciuto le due sorelle,  innamorandosi di Giovanna; anche Giovanna si era innamorata di questo giovane piuttosto brutto ma alto, spiritoso e vivace.

I due avevano deciso di tener segreto questo loro rapporto e facevano in modo di non incontrarsi in pubblico; l'ufficiale la cercava e la seguiva quando lei era sola e un giorno ... “la raggiunse in un piccolo e scomodo guardaroba dal poco lusinghevole odore e i due sacrificarono a Venere”.

Durante il tempo in cui costoro amoreggiavano, dalla sig.ra de Suremont si era verificata una scena spiacevole e allo stesso tempo comica; occorre ricordare che Marianne aveva amoreggiato con Colas, lasciandolo quando era partita per Parigi.

Costui, avendo saputo che lei si trovava a Fontette dalla signora de Suremont, si era presentato chiedendo di Marianne; il domestico gli aveva fatto notare che doveva essere più rispettoso e chiamarla m.lle de Saint-Remy e non Marianne; Colas rispose che l’aveva conosciuta come Marianne e per lui era solo Marianne e non m.lle de Saimt-Remy.

Non si sa bene se il domestico fosse un po’ tonto o malizioso, ma dopo aver fatto entrare Colas nella sala dove si trovavano la signora de Suremont e Marianne e molte altre persone, ripeté innanzi a tutti, parola per parola, quello che aveva detto Colas; per di più costui, appena vede Marianna le salta al collo, ma Marianna indispettita lo respinge trattandolo da manigoldo e dopo avergli dato uno schiaffo, gli ordina di uscire dalla sala.

La signora de Suremont indignata del comportamento della signorina di Saint-Remy, le tira a sua volta uno schiaffo, riprendendola per essersi comportata a questo modo con un uomo che in altri tempi lei aveva trattato come un fidanzato.

Nello stesso tempo invitava Colas a rimanere, ma questo se ne andò via dicendo “Mio Dio, come la fortuna cambia i costumi e distrugge l'amore. Lei non ricorda più, l'ingrata, i tempi in cui andavamo insieme  nei campi a rotolarci sull'erba, ha dimenticato tutto”; queste ultime parole del rotolarsi sull’erba, vere o false, circolarono con malignità dappertutto!

Dopo che Colas era andato via, la signorina di Saint-Remy sentitasi oltraggiata dallo schiaffo ricevuto dalla signora de Suremont, la ricoprì di improperi e ingiurie, dicendole che da questo momento non si sentiva più sotto la sua protezione e se ne sarebbe tornata in convento, chiedendo alla sorella di accompagnarla.

Ma Giovanna, riflettendo su questo increscioso incidente pensò che lasciando la signora de Suremont, avrebbe avuto minori possibilità di vedere il giovane de Lamotte e che il loro amore ne avrebbe sofferto; decise quindi di rimanere, mentre Marianna che non volle sentir parlare di riconciliazione, si mise a pensione presso le Orsoline.

 

 

GIOVANNA SPOSA IL

GIOVANE DE LAMOTTE

MA VIVONO

NELL’INDIGENZA

 

 

U

n altro avvenimento venne ad aggiungersi ai precedenti; il giovane de Lamotte aveva deciso di sposare la signorina de Saint-Remy-Valois e lo comunicò alla madre che accolse con favore la notizia.

La situazione non era però rosea in quanto la madre di de Lamotte viveva della sola pensione del marito e  Giovanna aveva la pensione di ottocento lire concessa dal re: essa comunque, commenta lo storico che riferisce la circostanza, “accettando il matrimonio, alla fame univa la sete”.

Giovanna era corsa a comunicare la notizia alla signora de Suremont, pregandola di darle i suoi consigli e questa dopo averla rimproverata per averle nascosto il rapporto che l’aveva coperta, a suo dire, di disonore, volle subito scrivere alla marchesa di Boulainvilliers che nei confronti di Giovanna fungeva da madre, per avere la sua approvazione.            

Alla marchesa il giovane de Lamotte fu falsamente presentato come persona di ottima condizione non meno che un gentiluomo, con grandi possibilità per il futuro; la marchesa accettando queste lusinghiere referenze, diede il suo consenso: e, se l'onore della Valois era stato riparato col matrimonio (1780), questo non la mise al riparo dall'indigenza!

Il marito infatti secondo il contratto di matrimonio aveva dichiarato un capitale di seimila lire, somma da considerarsi aleatoria in quanto, essendo ipotecata, di essa non potevano essere toccati né il capitale né gli interessi!

Il giovane de Lamotte condusse la sposa a Luneville e da persona abituata a vivere tra militari, amava  il fasto e per questo aveva contratto debiti considerevoli, che non era in grado di pagare; perseguitato dai creditori e sul punto di essere arrestato  per la somma di milleduecento lire, in una situazione del genere i due sposi decisero di lasciare Luneville e si recarono dalla marchesa di Boulainvillliers che si trovava a Saverne.

 

 

LA CONOSCENZA DEL

CARDINALE ROHAN

SEGNA

IL DESTINO DEGLI SPOSI

 

 

L

a marchesa di Boulainvillliers, dopo aver dato loro del danaro, li presenta al cardinale di Rohan (1781), che senza volerlo, segnerà il loro destino, al quale saranno collegate buona parte delle loro disgrazie.

Il cardinale, toccato dal racconto della signora, che ora si presentava come de Lamotte-Valois, promette la sua protezione e si interessa subito per far ottenere al signor de Lamotte una pensione di millecinquecento lire, per riconoscimento di servigi resi dal padre, facendogli anche ottenere un avanzamento di rango con il titolo di conte.

Le liberalità del cardinale avevano messo i due avventurieri, che ora si fregiavano del titolo di conte e contessa, usando l'altisonante nome dei Valois, in condizione di poter in qualche modo figurare in società; ma le loro aspirazioni li portarono a conoscere un mondo sommerso di gente di ogni stato, sesso e professione come monaci intriganti, prostitute, mantenute, ufficiali rovinati, sfaccendati, mercanti ecc., che sarebbero emersi in seguito allo scandalo che si stava preparando.

Dopo aver ricevuto le testimonianze della bontà della marchesa di Boulainvilliers e della generosità del cardinale di Rohan, i due sposi ritornano a Lunéville, dove provvedono subito a pagare loro debiti.

Nel frattempo giunge loro notizia che la marchesa di Boulainvilliers  era stata colpita da vaiolo e partono subito per Parigi per visitarla, ma giungono solo per apprenderne la sua morte.

La marchesa nell'intento di aiutare ancora i due sposi, quando si era ammalata, aveva avuto l’accortezza di compiere un ultimo gesto di generosità e si era rivolta al suo genero barone de Crussol, per far assumere il nuovo conte de Lamotte nel prestigioso Corpo delle guardie del Conte d'Artois (la contea di Artois, borgognona, era di rango principesco) e il barone per rispetto alle ultime volontà della marchesa, si premurò di fargli ottenere l'assunzione.

Trovandosi a Parigi la signora de Lamotte pensò di recarsi a visitare Versailles dove si verificano strane coincidenze, che sembrano essere state chiaramente volute dalla contessa. 

Essa infatti, a Versailles (dove l’ingresso era libero!), capita nella sala delle guardie dell’appartamento della principessa d'Artois e, mettendo un passo in fallo, cade e perde conoscenza; essendo incinta la caduta è ritenuta pericolosa ed è portata nella camera di una dama di Corte dove la trattengono fino a quando non riprende conoscenza: la principessa d’Artois, colpita da questo incidente, per bontà e compassione la fece visitare dai suoi medici e quando fu perfettamente ristabilita le fece avere una somma di danaro, che fu subito dissipata.

Nonostante il posto onorevole occupato dal marito, il danaro che i due ricevevano era presto dilapidato e la contessa si trovava sempre in stato di indigenza; avendo la predisposizione all’intrigo, aveva pensato di rivolgersi al cardinale di Rohan al quale ricorda le promesse che egli le aveva fatto a Saverne, nel loro primo incontro e implorando la sua carità, gli sollecita un aiuto pecuniario che per senso di umanità che il cardinale non le  rifiuta.

Questo primo passo della contessa riesce secondo i suoi desideri, per cui ne ripete altri ottenendo ogni volta testimonianze di generosità da parte del nuovo protettore (tra i due comunque, come si vedrà, si erano instaurati rapporti intimi).

                                                                               

 

LA COLLANA E

IL CARDINALE

DE ROHAN

 

              

I

 gioiellieri fornitori della casa reale erano Boëhmer & Bassanges, i quali erano entrati in possesso di una superba collana che si diceva essere appartenuta alla marchesa du Barry (anche lei coinvolta nel suo processo dalla de Lamotte, ma sarà travolta dalla Rivoluzione e anche lei, dopo la regina, ghigliottinata; ne parleremo in un prossimo articolo; ndr.), che i gioiellieri avevano modificato, raccogliendo i più bei diamanti offerti dal mercato e ottenendo una collana che era una esplosione di diamanti di varia grandezza (non certo raffinata ma piuttosto grossier!) ed esageratamente costosa (valutata dagli esperti Doigny&Maillard unmilioneseicentomila lire); i gioiellieri, non riuscendo a trovare acquirenti, neanche presso i reali di Spagna, pensarono di proporla al re e alla regina di Francia.

Ma dal re ottennero la saggia risposta che con il suo costo si poteva acquistare (e armare) un vascello, di cui avevano più bisogno di un gioiello; anche la regina aveva detto di no, ma successivamente, secondo i sostenitori della sua colpevolezza, avrebbe cercato di convincere il re che sarebbe stato un futuro investimento per i figli (*).

I gioiellieri non si erano dati per vinti, ma avevano colto l’occasione che si era presentata con il cardinale de Rohan; ad essi si era rivolto il cardinale per far mettere a posto propri gioielli; essi ne approfittano per raccontare della collana, chiedergli di interessarsi per convincere la regina ad acquistarla.

Il cardinale Louis-Réné–Edouard de Rohan  (1734-1803)  apparteneva alla principesca famiglia (i Rohan in quest’epoca avevano duecento domestici, erano considerati di poco cervello, presuntuosi, dissipatori e dissoluti), che affondava le sue radici nel medioevo, il cui motto sprizzava un orgoglio che li faceva sentire superiori ai re: “Je ne suis roi, suis Rohan” (Non sono re, sono Rohan)!

Egli ricopriva diverse cariche e disponeva di consistenti rendite (tre milioni, ma aveva debiti per due milioni!); aveva ricoperto la carica di ambasciatore a Vienna (la nomina a cardinale l’aveva avuta successivamente, prima aveva il titolo di principe poi era stato nominato cardinale) presso l’imperatrice Maria Teresa, e si era distinto più per i pettegolezzi che per l’attività diplomatica vera e propria.

A Vienna il cardinale seppur ben visto da Giuseppe II, che si divertiva con le facezie che il cardinale gli raccontava, non lo era per Maria-Teresa; egli parteggiava infatti per il partito ostile a Maria-Antonietta (**) che prendeva con leggerezza l’etichetta francese, per di più a una cena dalla du Barry, la marchesa aveva letto una lettera del cardinale che parlando della divisione della Polonia, diceva dell’imperatrice “che da una parte aveva le lacrime che cadevano dai suoi occhi e dall’altra usava la spada per dividere questo disgraziato paese e assicurarsi la sua parte”; Maria-Antonietta venuta a conoscenza, la riferiva alla madre, con la quale aveva fitta corrispondenza epistolare; per questo motivo l’imperatrice chiese la sua sostituzione (1774) con un altro ambasciatore.

Al suo ritorno a Parigi, il cardinale, ignaro dei motivi della sua sostituzione, si aspettava qualche ricompensa  .... e aveva chiesto udienza al re che gli era stata accordata, ma quando incominciò a parlare il re freddamente lo interruppe dicendogli: – Il mio ministro vi farà conoscere la mia volontà e fu congedato;  Maria-Antonietta a sua volta gli mostrava tutta la sua freddezza ed erano passati dieci anni da quando con il re, non lo degnavano di uno sguardo; egli trovava ciò insopportabile e bramava una riconciliazione e nella collana aveva intravisto il mezzo per poterla ottenere.

Il principe-cardinale, seppur dotato di un certo talento, non aveva una intelligenza pronta, in ogni caso era spiritoso, vanesio e superficiale, oltre a essere facilmente suggestionabile, come dimostrava la sua infatuazione e il credito riposti in Cagliostro e finirà per cadere in pieno nel vortice degli intrighi orditi dalla contessa de Lamotte.

Con le donne il cardinale faceva il “farfallone amoroso”  (Michelet***) lo aveva definito “pietosamente debole, scandalosamente libertino, che non aveva i sogni di grandezza della sua famiglia”) e la conoscenza della contessa de Lamotte. con la quale, come già accennato e come confermava Beugnot e vedremo più avanti – avevano intensi rapporti intimi,  gli procureranno tutti le sventure che si abbatteranno su di lui.

Della  collana erano venuti a conoscenza i due coniugi de Lamotte che incominciarono a pensare a come potessero venirne in possesso, non importa a qual prezzo, anche ripagando con la più nera ingratitudine tutto il bene che avevano ricevuto dal cardinale.

La contessa aveva affittato un appartamento a Versailles ed era passato qualche tempo senza farsi vedere dal cardinale che si era recato a Saverne; al ritorno dal viaggio il  cardinale le fece visita e lei gli disse che era entrata nelle buone grazie della regina e sapendo del rapporto che intercorreva tra di loro, lei sarebbe stata in grado di farlo rientrare nelle sue buone grazie; al cardinale non sembrava vero quanto aveva sentito ed era stato preso da tanta gioia e speranza che le disse che si metteva nelle sue mani!

La contessa volle metterlo alla prova, per capire fino a che punto potesse approfittare di lui e qualche giorno dopo gli mostrò delle lettere, facendogli credere che fossero della regina, dicendogli che la regina desiderava aiutare delle persone bisognose e aveva bisogno di sessantamila lire, che il cardinale le fece avere immediatamente; qualche mese dopo la signora con altro pretesto, ripeté  la richiesta, questa volta di centomila lire, facendogli credere che non le chiedeva per sé ... e il cardinale credette che la richiesta  provenisse da un ordine superiore!

 

*) Secondo i “panphlets” dell’epoca, la regina capricciosa e civettuola, dopo aver desiderato la collana, l’aveva rifiutata a causa del suo costo, ma poi si era pentita del rifiuto; a questo punto era intervenuto il cardinale che l’aveva persuasa a ottenere la collana col suo intervento, a condizioni migliori che i gioiellieri avrebbero fatto a lui.

 

 

 

 **)  IL CARATTERE DI MARIA-ANTONIETTA    

 

       Quando Maria-Antonietta, quattordicenne, era giunta in Francia per sposare il Delfino, era entrata nel cuore dei francesi per la sua naturale, pudica bellezza, la grazia, la dolcezza e il fascino (che avevano incantato Luigi XV); man mano che passavano gli anni quei sentimenti poco per volta cambiarono a causa delle notizie distorte dal profluvio di panphlet  che, prima di lei soltanto la Pompadour aveva conosciuto così numerosi  con un mare di calunnie, ricoprendola di fango fino al punto che il popolo gridava per la prima volta “mort à la reine”.

 La inusitata ostilità dei francesi, e dei cortigiani che avevano attribuito a Maria-Antonietta (1755-1793), il nome di “Madame Etiquette” a causa della sua antipatia per la rigida etichetta di corte alla quale cercava di sottrarsi o addirittura contrastandola, p. es., sedendosi a tavola di traverso, ridendo all’orecchio di chi le stava vicino, o peggio, ridendo in faccia ai cortigiani, così ridicolizzandoli davanti a tutta al corte e facendoseli nemici per sempre; divenuta amica della principessa di Guémenée, si recava spesso da lei a cena in quanto nella sua casa si sentiva più libera che a Versailles.

Non piacendole la lettura (nonostante i suggerimenti e le raccomandazioni della madre) e non avendo alcuna predisposizione per la cultura in genere, per non annoiarsi (aveva confessato al conte Mercy che aveva paura di annoiarsi), si era lasciata prendere dai piaceri che offriva Versailles come il ballo (la sua salute le consentiva di ballare all’Opera fino alle cinque del mattino, rientrare a Versailles alle sei e alle dieci partire per le corse!), gli spettacoli, la caccia col calesse o a cavallo, e la forte passione del gioco (la chiamavano passione ma era vero e proprio vizio e il gioco era gioco d’azzardo, col pericoloso faraone), al quale si dedicava dopo cena, giocando e perdendo somme ingenti che la mettevano in difficoltà per le altre spese (e vi erano dame che baravano spudoratamente); e mentre le autorità perseguivano il gioco d'azzardo a Parigi, a Versailles, dove si giocava per tre giorni alla settimana, vi era ammesso il pubblico che poteva fare puntate al tavolo della regina (vi era ammesso chiunque, purché fosse gente di qualità e avesse denaro da giocare).

Questa passione era stata introdotta nell’alta società di Parigi (si giocava anche durante il regno di Luigi XIV), depositaria dell’opulenza più sfrontata, rappresentata dal principe e principessa di Guémenée-de Rohan, che erano i più fastosi (ma finirono per fallire!), il principe infatti prodigava oro, diamanti e feste ai suoi cortigiani; i Buglione, più ricchi, erano meno opulenti, sebbene nelle loro feste facessero spese folli; il duca di  Buglione per una ragazza dell'opera di nome Laguerre aveva speso ottocentomila franchi; era stato il principe di Soubise con il suocero a introdurre la passione per il gioco a Parigi, poi passata  alla Corte.

Ma non era solo la regina a giocare, anche il re era stato preso dalla passione (e il fratello conte d’Artois, al quale il re aveva detto che con lui non poteva giocare perché lui era più povero!); le cifre che perdevano erano esorbitanti e il re per non portare l’oro aveva introdotto l’uso delle fiches e dei biglietti di pagamento; tutto  questo avveniva mentre il popolo viveva nella miseria più nera e solo una rivoluzione poteva cambiare questo stato di cose: con l’affare della collana la regalità aveva perduto tutto il suo prestigio e la Francia si era avviata verso la Rivoluzione. 

***) Jules Michelet nella sua Storia di Francia (nel volume dedicato a Luigi XV e XVI) aveva dedicato un capitolo al cardinale Rohan e alla Valois, lasciandosi fuorviare da quanto era stato scritto nelle “Memoires du Comte Albert Beugnot” (due volumi Paris, 1866), in cui Beugnot parla della Valois, che egli aveva frequentato in amicizia, e, non conoscendola nel suo verso sbagliato di truffatrice, ne aveva parlato bene e pur essendo successivamente venuto a conoscenza dell’affare della collana, aveva creduto alla versione della de Lamotte, secondo la quale la truffa era stata ordita da Cagliostro.

Ciò che aveva scritto Beugnot sulla Valois (ritenendola discendente diretta della famiglia dinastica dei Valois) è da considerare poco attendibile, sebbene alcuni particolari della sua vita quotidiana, che abbiamo ripreso (indicando la fonte), siano esatti.

Occorre ricordare che prima di questa truffa ai danni della regina, vi era stato un processo contro una certa signora Cahuet de Villars la quale approfittando della circostanza che si parlava delle grandi spese della regina, aveva avuto credito dalle banche in quanto si dichiarava sua creditrice, mostrando false ricevute.

 

 

LA CONTESSA

DE LAMOTTE

 E I FANTASIOSI

INCONTRI

CON LA REGINA

 

 

I

n una successiva visita che de Lamotte fece al cardinale, gli disse che era stata convocata dalla regina e avrebbe cercato di far cadere la conversazione su di lui e toglierle la prevenzione che aveva nei suoi confronti.

Per alcuni giorni la signora non si fece vedere, creando nel prelato una certa apprensione, poi si vece viva, dicendogli di aver parlato con sua maestà e “non senza pena aveva cercato di giustificarlo nel suo spirito e lei gli concedeva la sua bontà, ma esigeva che egli accettasse di svolgere un incarico particolare” e senza dargli il tempo di rispondere gli disse che la regina desiderava acquistare una collana che avevano i gioiellieri Boëhmer & Bassanges e per nessun motivo lei voleva apparire nell’acquisto; suggeriva che potesse  apparire lui come acquirente e che su questa faccenda dovesse essere osservato il più gran segreto.

Tutto questo era sembrato al cardinale inverosimile ed egli non potette fare a meno di mostrarle i suoi dubbi, ma la furba signora cercò di dissiparli e non sarebbe riuscita nel suo intento, se non ricorrendo a un audace stratagemma.

La contessa aveva conosciuto una giovane modista di nome Leguay, che lei chiamava baronessa d’Oliva, che somigliava perfettamente alla regina, alla quale chiese di farsi trovare alle undici di sera in uno dei viali di Versailles e doveva dare alla persona che le si presentava una rosa, dicendo: “Voi sapete ciò che questo significa, ho dimenticato il passato”, promettendole una ricompensa di quindicimila lire se avesse eseguito puntualmente l’incarico; la ragazza accetta, senza sapere a cosa andasse incontro.

La contessa ritornò dal cardinale dicendogli:- “Non mi avete voluto credere sulla parola, crederete alla regina stessa? Sua maestà mi ha incaricato di farvi trovare domani nel parco di Versailles, dove sentirete dalla sua bocca le sue intenzioni”.

Il cardinale si rimproverò di aver messo in dubbio la sincerità della contessa, ben lontano dall’immaginare quale scelleratezza lei stesse tramando nei suoi confronti.

Egli si reca sul posto e vede una donna che pensa essere la regina che gli dice: Sapete cosa ciò significa, ho dimenticato il passato”, dandogli la rosa; egli non ha il tempo di ringraziare perché una voce annuncia: Madame e Madame la contessa d’Artois, e il cardinale si ritira preparandosi a eseguire l’incarico che ritiene di aver ricevuto.

Il cardinale si reca a Parigi dai gioiellieri e redige di propria mano la convenzione  di vendita della collana accettata dai gioiellieri e la porta alla signora de Lamotte; lei la tiene per alcuni giorni, poi la rende firmata, con firma artefatta “Marie-Antoinette de France (era noto che re e regine firmassero con il solo nome!), mentre la firma autentica della regina era con il solo nome e l’iniziale del secondo nome minuscola ; il contratto è concluso al prezzo di unmilione e seicentomila lire (senza alcuno sconto); il cardinale porta la collana alla contessa che gli fa credere di portarla alla regina; il cardinale neanche si era accorto della falsità della firma della regina.

 

                                                 

LA NUOVA VITA

DISPENDIOSA

 DEL CONTE

E DELLA CONTESSA

 DE LAMOTTE

 

 

L

a contessa e il marito, per la scrittura dei vari biglietti della regina mostrati al cardinale, si erano rivolti a un loro amico, Louis Marc’Antoine Rétaux de Villette; nel frattempo il cardinale aveva ritirato la collana dai gioiellieri e come abbiamo detto, la consegnava alla contessa che doveva portarla alla regina.

I coniugi de Lamotte, avuta nelle loro mani la collana, decisero di vendere le pietre più grosse rivolgendosi a Rétaux de Villette che sottopose l’acquisto di tre diamanti, al prezzo di ventimila lire, a un commerciante ebreo di preziosi, di nome Vidal; costui, supponendo che i gioielli fossero frutto di un furto, si rivolse al Commissario di polizia di Montmartre; Rétaux, interrogato, disse che i diamanti appartenevano alla contessa de Lamotte che gli aveva dato incarico di venderli; la contessa, nel frattempo, gli aveva chiesto di restituirle la collana e lui gliel’aveva restituita.

Il conte de Lamotte per non avere noie con la polizia, sotto il nome di conte di Valois, si recava in Inghilterra, dove vendeva una parte dei diamanti, lasciandone un’altra nelle mani del gioielliere William Gray (13, New Bond Street, London), scambiandoli con perle e altri gioielli che portò alla moglie.

Tornando dall’Inghilterra il conte e la moglie si recarono a Bar-sur-Aube dove acquistavano un palazzo considerevole, pagato in contanti ventimila lire; per i lavori di sistemazione degli appartamenti e delle decorazioni, tutte specchi e oro, erano stati assunti più di venti operai; il solo letto della contessa di velluto cremisi, era costato più di diecimila lire, ornato di rete e galloni d’oro e disseminato di perle fini, che il marito aveva portato dall’Inghilterra.

Nella sala da pranzo su due magnifici buffets vi erano porcellane e vasellame d’argento a profusione; due vasi a olio acquistati da un ebreo erano stati pagati con un diamante; un uccello automatico che volava nel salone, lo avevano pagato millecinquecento lire!

Il conte aveva messo su una scuderia con dodici cavalli e nella rimessa vi erano cinque o sei carrozze una più bella dell’altra; tra queste un cabriolet leggero e superbo a forma di pallone alto da terra più di dieci piedi! Il numero dei domestici era considerevole, le loro livree erano le più ricche possibili; tutto questo fasto straordinario e pacchiano, ripagava i due avventurieri per tanti anni di indigenza!

Ma questo sfarzo non poteva non suscitare l’invidia dei conoscenti, che non mancavano di ricoprirli alle spalle di scherno e sarcasmo: invano essi volevano far credere che la loro improvvisa ricchezza derivasse da elargizioni dei principi e principesse della casa reale, mentre si credeva che dipendesse dalla prostituzione dei favori elargiti dalla contessa.

In questo periodo la sorella della contessa, Maddalena, di cui non si era sentito più parlare, la ritroviamo in questa nuova casa; Maddalena, nel frattempo si presentava (così definita), come “una bella e grossa ragazza, bionda slavata, molto rustica e piena d’istinto, chiamata mademoiselle de Saint-Remy”; di lei se ne parla nel periodo della vendita dei diamanti, in quanto di lei se ne serve la sorella contessa che aveva incaricato un certo Bette d’Etienville, figlio di un vetraio di Saint-Omer, di cercare una persona di qualità che desiderasse sposare una signora che possedeva ventimila lire di rendita; ma in una seconda visita di Etienville, la contessa gli propone (suo scopo principale!) la vendita di diamanti; ma Etienville non accetta la commissione in quanto ignorava il valore dei preziosi; nel frattempo però la contessa è arrestata e Entienville preso per un imbroglione è condotto allo Chatelet.

Nel frattempo, anche del fratello conte de Lamotte-Valois, si viene a sapere che era morto durante il processo della sorella, senza che se ne conoscesse il motivo; si era supposto, a causa dell’infamante processo.

 

 

LE

PREOCCUPAZIONI

DEL CARDINALE

ROHAN

 

 

S

tava per scadere il termine della prima rata, fissata ad agosto, di settecentomila lire e la contessa pensò di intorbidire le acque per prendere tempo; dettò una lettera a Retaux in cui la regina chiedeva al cardinale di spostare la data del pagamento al primo ottobre; il cardinale costernato si rivolse a Cagliostro il quale osservando la firma della regina gli disse che era stato vittima di una bricconata, aggiungendo: “non vi rimane che andare a gettarvi ai piedi del re e dirgli tutto ciò che è successo”; ma il cardinale rifiutò e si recò dalla contessa che lo calmò raccontandogli di avere avuto dalla regina la somma di trentamila lire (avuti in prestito da un notaio al quale aveva dato in pegno la collana), da considerare interessi versati per il ritardo.

Il cardinale viveva nella inquietudine; aveva infatti avuto  occasione di vedere la scrittura della regina, colpito dalla differenza che aveva riscontrato nel carattere delle approvazioni e aveva incaricato  un confidente che frequentava la Corte, di controllare se nei giorni delle cerimonie la regina indossasse la collana, ma gli era stato detto che non la portava e le preoccupazioni del cardinale erano aumentate; il cardinale aveva chiamato i gioiellieri e gli aveva chiesto di scrivere alla regina per ringraziarla della grazia concessa, di aver accettato la loro collana.

Qualche giorno dopo, il cardinale si reca dalla contessa dicendole: “Mi venga un colpo, ho visto la scrittura della regina e quella a margine del progetto di acquisto non sembra essere la stessa e la regina non mette la collana che mi avete fatto prendere per suo ordine e l’avete portata voi stessa, o meglio, la persona che avete incaricato di consegnarla ha eseguito esattamente l’incarico? Io non so cosa pensare”.

La contessa de Lamotte gli rispose che in verità lei non aveva visto la regina scrivere e lei non dubitava che la sua approvazione fosse stata scritta da lei, ma era certa che la collana le era stata consegnata: Ne sono così convinta, aggiunse, che fra due giorni devo rimettervi la rata di trentamila lire che dovete consegnare ai gioiellieri”.

Il cardinale che sapeva che la signora non possedeva beni e che viveva della carità che lui le faceva, era ben lontano dall’immaginare che sarebbe stata proprio lei a dargli la somma che gli prometteva; due giorni dopo infatti la contessa gli portò le trentamila lire; da questo momento tutte le sue supposizioni svanirono ed egli si convinse di non essere stato truffato.

La signora de Lamotte alcuni giorni dopo aver versato le trentamila lire fece credere al cardinale di essere caduta in disgrazia presso la Corte perché avevano fatto credere alla regina che lei aveva approfittato troppo dei suoi favori e si era resa colpevole di alcune indiscrezioni; “sua maestà”, aggiunse, “mi ha ordinato di lasciare subito la capitale e vuole che della mia partenza non ne parli con nessuno, e mi ha dato due giorni per portar via i mobili e definire i miei affari; certamente mi conviene dimostrare di aver obbedito per non perdere la considerazione che lei ha di me”.

Lo pregava quindi di ospitare lei e il marito per ventiquattro ore e poi sarebbero andati presso parenti che abitavano in Champagne; la signora si guardò bene dal dire al cardinale di aver acquistato una bella casa a Bar-sur-Aube e continuava a lasciargli credere di essere nell’indigenza; dopo essere stati ospiti con il marito, per un giorno e mezzo, essi partono.

Il cardinale consegna ai gioiellieri le trentamila lire ricevute dalla signora, chiedendo quietanza con la indicazione che l’importo fosse in conto interessi, ma i gioiellieri rilasciano quietanza per sorta capitale.

Poiché il termine del primo versamento era passato da lungo tempo, i gioiellieri decidono di scrivere alla regina chiedendo un mandato di pagamento; la regina stupita per questa seconda richiesta attinente alla collana che lei non aveva ordinato, mostra la lettera al re; i due gioiellieri sono invitati a Versailles e dicono al re che il cardinale de Rohan aveva acquistato la collana di diamanti per conto della regina.

 

 

L’ARRESTO

DEL CARDINALE

DE ROHAN

 

 

I

l re era turbato e corrucciato nello stesso tempo per essersi gravemente mancato al rispetto dovuto alla regina;  poiché il cardinale (grand-aumonier–grande elemosiniere) doveva celebrar messa per i reali (era il 15 agosto), stava attraversando il salone di Versailles, quando fu invitato ad andare nello studio del re, il quale lo interrogò sui fatti che coinvolgevano lui e la regina; il cardinale riconobbe di essere caduto nelle mani di una donna insinuante, ambiziosa e piena di deviazioni abominevoli, facendo il nome della contessa de Lamotte-Valois; finito il colloquio, mentre usciva dal “cabinet du roi”, fu arrestato e portato alla  Bastiglia.

Il fatto aveva destato scalpore in quanto era la prima volta che un ecclesiastico fosse stato arrestato dalla giustizia civile, senza essere stato processato prima dal tribunale ecclesiastico per di più mentre indossava gli abiti sacramentali.

Il conte e la contessa nella loro nuova casa si davano ai piaceri della tavola e del gioco; la mattina del 17 agosto vi si trovava come ospite il conte Beugnot (v. nota sopra); la contessa aveva deciso di andare a presentare i suoi omaggi al duca di Penthievre (nipote di Luigi XIV e della Montespan) che  si trovava a Chateau-Vilain, nelle vicinanze di Bar-sur-Aube; il conte Beugnot (come egli stesso racconta: op. cit.) le chiese di portarlo a Clairveaux, che si trovava sulla stessa strada per Chateau-Villaine, dove avrebbe fatto visita all’abate e riprenderlo al ritorno; la contessa lasciò il conte Beugnot, come d’intesa, e si recò dal duca, dove rimase a pranzo e fu di ritorno alle otto; l’abate sapendo della sua intimità con il cardinale, la trattò da principessa, invitandola a rimanere a cena.

Si attendeva per le otto l’abate Maury (panegirista di san Bernardo che si festeggiava a Clairveux in quei giorni) proveniente da Parigi; lo avevano atteso fino alle nove e trenta e non essendo arrivato, si sedettero a tavola, quando giunse l’abate, che vien fatto sedere senza dargli il tempo di cambiarsi d’abito.

L’abate anfitrione gli chiede subito le novità di Parigi: Come risponde l’abate Maury dove vivete? Non sapete la novella dalla quale non si comprende più niente, che stordisce, che confonde tutta Parigi? Che il cardinale de Rohan è stato arrestato venerdì, il giorno dell’Assunzione, con gli abiti pontificali? Si conosce il motivo dell’arresto? gli chiese l’abate di Clairveaux Non precisamente; si parla di un collier di diamanti che egli ha dovuto acquistare per la regina e che non ha acquistato; non si capisce come mai per un simile straccio (!) abbiano arrestato il grande elemosiniere di Francia in abiti pontificali – voi lo intendete? – in abiti pontificali, e mentre usciva dallo studio del re”.

“Avevo guardato madame Lamotte scrive Beugnot e avevo notato che era  divenuta pallida e la salvietta le era caduta dalle mani, poi si alza ed esce dalla sala da pranzo; egli la raggiunge dicendole “che non si meravigliava della sua reazione in quanto era nota la relazione che correva tra lei e il cardinale, e non immaginava che lei potesse essere implicata. Ma – le chiede – potreste spiegarvi il motivo di questo arresto? – No – risponde la contessa – a meno che non vi sia la mano di Cagliostro, il cardinale ne è infatuato, non è colpa mia, io non ho cessato di avvertirlo”.

“Alla buon’ora  dice Beugnot  cos’è questa storia del collier che il cardinale ha dovuto acquistare per la regina? Come si può dare l’incarico a un cardinale di acquistare un collier? E come la regina ha potuto scegliere per questa commissione il principe Luigi che lei detesta apertamente? E Lamotte gli risponde: Vi ripeto che c'é la mano di Cagliostro; ma voi le dice Beugnot  avete ricevuto questo ciarlatano, siete per caso compromessa con lui? –  No risponde Lamotte, sono assolutamente tranquilla; se siete tranquilla per voi  le risponde Beugnot  non potete esserlo per Cagliostro  che per tirarsi dall'imbarazzo può raccontare cento storie”.

 

 

E DELLA CONTESSA

 DE LAMOTTE-VALOIS

 

 

A

 questo punto si erano fatte le dieci di sera Beugnot le suggerisce di fuggire e recarsi in Inghilterra, seguendo la via più breve; avrebbe provveduto lui ad avvertire il marito, che l’avrebbe raggiunta; ma la contessa gli risponde seccata di avergli già detto dieci volte di non avere nulla da preoccuparsi ed essere dispiaciuta di essersi levata da tavola “come se fossi stata complice delle follie del vostro cardinale”.

“Madame – dice Beugnot non ne parliamo più”  e si offre di accompagnarla; lei non risponde e dopo mezz’ora giungono a casa; il marito, uscito la mattina per una partita di caccia non era ancora rientrato; essi salgono nell’appartamento della contessa che apre un grande cassettone di legno di sandalo pieno di carte di tutti i colori e di tutte le misure; Beugnot le suggerisce di bruciare tutto in blocco, ma la signora preferisce fare un esame sommario e si procede lentamente.

“Facendo cadere uno sguardo fuggitivo su qualcuna delle mille lettere del cardinale scrive Beugnot  mi rendevo conto del saccheggio che aveva fatto su quell’uomo sfortunato il delirio dell’amore, esaltato dal delirio dell’ambizione; è stata una fortuna per il cardinale che quelle lettere siano state distrutte; ma è stata una perdita per la storia delle passioni umane” (e ancor più per noi ricercatori!!! ndr.).

In questo miscuglio di documenti – scrive ancora Beugnot – si trovava di tutto, fatture quietanzate e non, offerte di terreni da vendere, annunci di oggetti preziosi, di nuove invenzioni, come se tutta la umana cupidigia si fosse coalizzata nella miniera d’oro che colava ai piedi di madame Lamotte. Avevo trovato lettere di Boëhmer & Bassanges  che parlavano del collier, di termini di pagamento, che accusavano ricevuta di certe somme, che ne chiedevano di maggiori: chiesi alla signora cosa intendesse farne; alla sua esitazione gettai tutto nel fuoco”.

“Lasciai la signora, raccomandandole di andar via, lei promise di farlo dopo aver riposato; lasciai l’appartamento avvelenato dall’odore delle carte bruciate e della ceralacca impregnata da tanti odori differenti; erano le tre del mattino, alle quattro la signora fu arrestata”.

La mattina infatti alle quattro si presentava un ispettore di polizia con le guardie, che chiedeva di parlare alla signora; la cameriera di camera risponde che “la signora non é visibile”; l’ispettore le dice  che “visibile o non, lui le doveva parlare e chiede di condurlo nel suo appartamento”; giunge nella camera da letto dove la signora dorme dolcemente; il suo risveglio è terribile: l’ispettore le mostra l’ordine di condurla alla Bastiglia, dandole appena il tempo di vestirsi.

Tre giorni prima, come abbiamo visto, il cardinale era stato portato alla Bastiglia e nel suo interrogatorio aveva parlato solo della signora de Lamotte, non del marito nei confronti del quale non era stato emesso alcun mandato; svegliato dal frastuono de Lamotte era caduto senza conoscenza tra le braccia di un domestico e dopo essersi ripreso e aver sentito ciò che era successo alla moglie, per evitare di fare la stessa fine, se ne partiva per l’Inghilterra.

La signora de Lamotte sottoposta a interrogatorio si tradiva raccontando menzogne e puerilità; per il risentimento che nutriva nei confronti di Cagliostro, lo accusava  della truffa, accusando anche la moglie e dichiarando che era stato lui ad assumere il cardinale per l’acquisto della collana e “che aveva affascinato gli occhi e lo spirito del prelato, da fargli credere vera l’apparizione della regina nei giardini di Versailles”; la contessa aveva inoltre spudoratamente insinuato che i diamanti erano stati smembrati dal conte e dalla contessa Cagliostro, da cui avevano tratto profitto; così i due (questa volta) innocenti, erano stati portati anch’essi alla Bastiglia dove la contessa era rimasta otto mesi, mentre Cagliostro vi sarebbe rimasto fino alla sentenza.

La signorina d’Oliva era stata invece arrestata a Bruxelles dove si era rifugiata e rivelava tutta la trama della contessa de Lamotte; Rétaux de Villette era stato preso a Ginevra e portato alla Bastiglia e messo a confronto con la contessa, raccontava tutta la verità sulle sue falsificazioni.

 

 

LA CONTESSA

RITIENE ROHAN

SUCCUBO  DI

CAGLIOSTRO

 

 

C

iò che la contessa riceveva dal cardinale di Rohan, poteva bastare a condurre una vita onesta, ma la contessa era entrata nell’ordine di idee che poteva ottenere di più; essa sapeva che il cardinale era in rapporto con il conte di Cagliostro (noto come guaritore, si  vantava di creare l’oro, suscitando interesse e curiosità per la sua vita romanzesca) conosciuto a Strasburgo (1780, dove il cardinale ricopriva la carica di vescovo), in quanto il cardinale soffriva di asma, e per le cure efficaci che gli prodigava, l’avventuriero riscuoteva la sua piena fiducia.

La contessa invece aveva maturato l’idea che Cagliostro avesse posto, o poneva, dei limiti a ciò che il cardinale le concedeva: “Era una sua supposizione, ma sufficiente per farle sorgere una forte antipatia nei confronti di Cagliostro”; aveva cercato quindi in tutti i modi di nuocergli e farlo decadere dall'animo del cardinale, ma non essendo riuscita, cercò il modo di vendicarsi, aspettando il momento opportuno.

Nella pubblica opinione si parlava in maniera diversa di Cagliostro (che lei coinvolgerà nel processo), “non si sapeva bene se inserirlo nel numero degli impostori o dei benefattori dell'umanità”.

A credere alla de Lamotte e ai suoi sostenitori, Cagliostro era un visionario e un furbo che pretendeva di aver trovato la pietra filosofale e per meglio carpire la credulità del cardinale, aveva fatto sciogliere dell'oro in un crogiuolo, dal quale lo aveva subito tolto per mostrarlo al cardinale, dicendogli che era una sua creazione.

Il cardinale, che come abbiamo visto, aveva fiducia in Cagliostro, era entrato nella convinzione che “l'alchimista è una delle intelligenze superiori che vegliano sulla felicità dei mortali e che per un favore speciale si degnano di mostrarsi in forma umana”.

La stima del cardinale era aumentata quando Cagliostro lo convinse di possedere il segreto di prolungare la vita al di là dei limiti umani e gli fece credere di aver partecipato alla battaglia di Arbela (combattuta da Alessandro Magno nel 331 a. C. ndr.) e di aver assistito Nostro Signore alle nozze di Cana!

A questi racconti fantastici se ne aggiungevano altri riguardanti la sua nascita, come quello che Cagliostro fosse figlio di un giudeo portoghese gran guaritore, di cui era  meglio non fare il nome; oppure di un cocchiere napoletano di nome Tiscio; oppure che egli provenisse da famiglia illustre e sovrana; che egli avesse viaggiato per diversi Paesi in ciascuno dei quali cambiava nome e professione, secondo quello che tornasse più utile alle sue stravaganze o di cui avesse bisogno, per sottrarsi alle ricerche della giustizia!

Vi era inoltre chi nei caffè raccontava che il conte era di quegli esseri anfibi di cui si ignorava il sesso e l’origine; si diceva fosse nato o dalla schiuma del mare o dalla manna che gli ebrei andavano a raccogliere al mattino nel deserto; altri dicevano fosse nato millenovecentosessantasette anni prima della creazione del mondo e che aveva visto il formarsi dal niente della materia e di aver presidiato all’ordine stabilito sulla superficie del globo!

E, ancora, chi sosteneva fosse un famoso medico che possedeva tutte le scienze e le arti e che quest’uomo prodigioso facesse uso delle sue vaste conoscenze e dei suoi rari talenti per il bene dell’umanità: in ogni caso le sue conoscenze mediche gli consentivano di curare molti malati.

Quanto al suo tenore di vita, faceva spese notevoli senza mai chiedere credito, la magnificenza che lo circondava, l’aria di grandezza nella quale appariva, il suo disinteresse, il suo disprezzo per le ricchezze, tutto concorreva a convincere i suoi ammiratori in questa loro persuasione e che, “in una parola, la riconoscenza verso di lui dovrebbe albergare in tutti i cuori”.

L’anonimo autore (*) che ha riportato questo passo (a parte la circostanza che egli mostra grande ammirazione per Cagliostro, lo abbiamo preso in considerazione in quanto il suo scritto risulta essere molto dettagliato sui particolari dell’affare del collier (**)), dichiara che “la funzione dello storico è quella di essere veritiero e imparziale, aggiungendo di non prestar fede né ai propositi satirici dei nemici di Cagliostro, né agli elogi dei suoi panegiristi ... e di sentirsi autorizzato a credere che egli fosse figlio di un principe straniero di cui non indica il nome per rispetto della sua memoria (!); l’ingenuo autore aggiunge “di credere che Cagliostro avesse ricevuto una educazione brillante e la più colta; che egli avesse viaggiato molto in Europa e in Asia, viaggi dai quali gli erano derivate conoscenze nella fisica e storia naturale e che in medicina possedeva quei segreti che egli applicava con successo”.

 

 

*) Anonimo: Histoire véritable de Jeanne de Saint-Remy ou Les aventures de la comtesse de Lamotte; A’ Villefranche Chez la Veuve Liberé 1786.

**) E non solo; infatti, egli aveva conoscenza diretta degli avvenimenti in quanto riferisce di avere abitato per lungo tempo a Bar-sur-Aube.

 

*)  CAGLIOSTRO SECONDO W. GOETHE

 

C

agliostro non aveva alcun coinvolgimento in questo intrigo ma la signora de Lamotte che lo detestava, era passata da questo sentimento, all’odio, in quanto riteneva che gli mettesse contro il cardinale e, come abbiamo visto, si vendicherà nel processo accusandolo di aver utilizzato il cardinale nella truffa  della collana.

E’ noto che Goethe fosse massone e lo era anche Cagliostro; Goethe era incuriosito dal personaggio e, poiché si riteneva che Balsamo e Cagliostro fossero due persone diverse,  quando venne in Italia aveva voluto approfondire le sue ricerche, fino a ricostruire l’albero genealogico di Giuseppe Balsamo, del quale dice che “non aveva propriamente inventato il nome di Cagliostro, in quanto Giuseppe Cagliostro era uno zio di sua madre”.

Goethe (e non era stato il solo, ma anche Shiller, e Dumas che abbiamo citato. si erano occupati di lui), al personaggio dedica diverse pagine del “Viaggio in Italia”, e le sue   puntigliose ricerche lo avevano portato a scrivere un’operetta esoterica intitolata “Der Grosscofto” (Il Gran Cofto) rimasto nella lingua originale.

Cagliostro con il suo talento (abbiamo già detto che questi grandi impostori e truffatori sono dotati di  carisma e talento, ne abbiamo anche nell’Italia contemporanea con numeroso seguito!), all’interno della Massoneria, aveva fondato il Rito egiziano, sulla base di un manoscritto londinese di un suo discepolo, Cofton o Coston o Costar (*).

Orbene, Goethe quando era a Palermo si era voluto rendere personalmente conto della famiglia di Giuseppe Balsamo e tramite un avvocato (che aveva fatto ricerche su Cagliostro per conto della Francia e gli aveva messo a disposizione il suo segretario), si era recato personalmente presso l’abitazione dei suoi familiari (tra cui la madre e la sorella di Balsamo allora viventi),  che abitavano in una stanza in un vicolo di Palermo e vivevano in estrema miseria.

Consultando documenti del processo di Roma, risultava accertato che Giuseppe Balsamo da giovane avesse preso l’abito dei Fratelli della Misericordia, Ordine dedito alla cura degli infermi, rivelando  i suoi interessi e capacità per la medicina, ma essendo stato espulso per cattiva condotta, si era dedicato alla stregoneria e all’attività di scavatore di tesori. Balsamo inoltre aveva sfruttato le sue capacità di imitazione della scrittura dando un saggio di queste capacità quando aveva scritto un documento antico, provocando una lite sulla proprietà di alcuni beni da lui rivendicati.

Dopo alcune vicissitudini tra Roma e Napoli aveva sposato la quattordicenne Lorenza Feliciani (alias Serafina) anch’essa di talento, in quanto, sebbene analfabeta da non saper neppure apporre la propria  firma, “da donna povera (che proveniva) da una vita di stenti e di piccoli imbrogli ... appare (a Parigi) donna bellissima, elegante, abituata a sostenere conversazioni con grandi dame su argomenti delicati e complessi quali magia e femminismo”.  

Giuseppe Balsamo, sotto il nome di marchese Pellegrini era tornato a Palermo dove riconosciuto, era stato arrestato e poi messo in libertà; dopo altre vicissitudini durante le quali aveva commesso delle truffe, era stato arrestato e poi rimesso in libertà; il documento consultato da Goethe, poiché da più parti si era ritenuto che Giuseppe Balsamo e il  conte Alessandro Cagliostro fossero due persone distinte, concludeva con la dimostrazione che Giuseppe Balsamo era il sedicente conte Cagliostro.

Goethe conclude, pentito di non aver fatto una copia o un estratto del documento consultato, da cui risultava “quanti gabbati, semigabbati o gabbatori, inchinarsi davanti a quel briccone e alle sue ciurmerie, stimandosi onorati della sua amicizia e  comparendo o perfino spregiando dall’alto della loro presuntuosa credulità, il sano senso comune”.

Cagliostro quando era tornato in Italia era stato arrestato, processato e condannato per eresia, finiva i suoi giorni nella Rocca di san Leo (1795).

 

*) Compianto Carlo Gentile (1920-1984), “Il mistero di Cagliostro e il sistema egiziano”, Bastogi Editore, Livorno 1973.

**) J. W. Goethe: Viaggio in Italia,”I Meridiani” Mondadori, 1983.

 

 

VI PRESENTO

IL CONTE

 DI SAINT GERMAIN

 

                         

N

el susseguirsi di tutti questi insoliti avvenimenti, accanto a Cagliostro, troviamo un’altra figura leggendaria (di cui fu precursore e contrariamente a Cagliostro, non ebbe mai nessuna avventura scandalosa), era il conte di Saint-Germain; ambedue oltre a compiere prodigi, erano considerati taumaturghi, in quanto, nella convinzione generale, compivano miracoli!

Anche Saint-Germain (come abbiamo detto di Cagliostro e Doktor Faust) aveva grande erudizione oltre a grande talento e una formidabile memoria; era esperto in musica e pittura, aveva alcuni quadri di Murillo tra i quali la Sacra Famiglia.

A parte l’aspetto misterioso ed esoterico della sua vita e della sua attività di alchimista e massonica (Rosacroce), diceva di essere nato a Gerusalemme, senza mai dire il suo anno di nascita; a tal proposito, diceva al duca di Choiseul: “Queste bestie di parigini credono che abbia  cinquecento anni e io li confermo in questa convinzione,  vero è che sono infinitamente più vecchio di come sembro”!

Voltaire col suo noto sarcasmo aveva scritto di aver chiesto al suo maggiordomo gli anni del suo padrone e questo aveva risposto: “quando sono arrivato trecento anni fa, lui era  qui”.

Quando Saint-Germain si trovava con persone credule, raccontava avvenimenti accaduti sotto Carlo V (prima metà del “1500”), o al Concilio di Trento, dove aveva cenato con quei padri, come se fosse stato presente; se invece si trovava con persone scettiche, raccontava tanti particolari dell’avvenimento, che quelli finivano per credergli; tra l’altro, raccontava di essere contemporaneo di Gesù ed essere stato uno dei commensali delle nozze di Cana; di Gesù diceva “di averlo conosciuto intimamente ed era la più buona pasta di uomo che vi fosse, ma era romanzesco e sconsiderato, sovente gli avevo predetto che sarebbe finito male”; questo racconto gli fruttò la reputazione di aver trovato l’elisir dell’immortalità.

Si vantava di possedere i più rari segreti alchemici e fabbricava colori, tinture di pietre preziose e una specie di simil-oro di rara bellezza; portava alle dita tre diamanti e ne aveva sulla tabacchiera e sull’orologio; possedeva diamanti enormi, ma non si è mai saputo se fossero veri o falsi; aveva il segreto di far scomparire le macchie dai diamanti rendendoli puri e sapeva anche fare ingrandire le perle; aveva una scatoletta contenente topazi, rubini, smeraldi di immenso valore, ma ostentava un grande disdegno di tali ricchezze che amava sfoggiare.

Nell’alimentazione seguiva una dieta rigorosa: non beveva durante i pasti e si purgava con il follicolo di sené (regolatore dell’intestino ndr.) che preparava lui stesso.

Su di lui Alessandro Dumas (*) ci ha lasciato alcune notizie storiche, scrivendo che: – Era nato a Salins nella Franca Contea da famiglia di modesta nobiltà, non antica; egli era, come si diceva in quel tempo, un gentiluomo di semplice tonsura (vale a dire ecclesiastico senza i voti ndr.) e aveva approfondito le sue conoscenze in letteratura e nell’arte militare; aveva lasciato (1733) l’ordine ecclesiastico, entrando come luogotenente, nelle milizie dove il padre era comandante, raggiungendo il grado  di capitano.

Poiché la disciplina francese non consentiva rapidi avanzamenti di carriera, passò al servizio dell’elettore palatino e poi dell’imperatore Carlo VI, per poi tornare presso l’elettore di Baviera, dove fu reclutato dal maresciallo di Sassonia (1745), raggiungendo il grado di luogotenente generale (1748) e ottenendo il gran cordone dell’Ordine Militare di San Luigi.

Si trovava in Germania (1750) nell’armata dei marescialli d’Estrées e Richelieu e a Rosbach (1757) con una manovra ardita, aveva salvato eroicamente la retroguardia; a Crevelot (1758), sotto il conte Clermont, aveva raggiunto il grado di generale e nello stesso tempo era abate commendatario (senza i voti) di Saint-Germain-de-Pres; incaricato della retroguardia, nella battaglia di Minden, rinnovò le manovre della ritirata di Rosbach che gli fece grande onore.

A Corbach (1760) i due fratelli de Broglie, non avendo atteso l’arrivo di Saint-Germain, incaricato di sostenere la ritirata e comandare tutte le retroguardie, furono sfortunatamente battuti e il merito del conte, di aver salvato con il suo intervento, l’armata, non aveva compensato l’errore di averla compromessa col suo arrivo in ritardo; si rimproverava al conte la colpa di essere arrivato troppo tardi e si sosteneva che avrebbe potuto arrivare prima.

Ai due fratelli conveniva gettare la colpa del disastro subìto su altri ed essi misero in giro questa notizia; era una ingiustizia e il conte scrisse a sua discolpa una lettera al proprio maresciallo chiedendo di ritirarsi e malgrado la soddisfazione che gli aveva dato il maresciallo, egli confermò le sue dimissioni, ritirandosi a Aix-la-Chapelle e dopo aver restituito il cordon rouge, passava alle dipendenze del re di Danimarca.

Il re danese era generoso e il conte di Saint-Germain aveva accumulato oltre a molte cariche e all’Ordine dell’Elefante, una somma pari a centomila scudi, che era andato a depositare presso un banchiere di Amburgo il quale, dopo aver incassato la somma, aveva dichiarato la bancarotta, lasciando il conte senza risorse.

Si trovava nel giardino della sua casa quando giunse un messaggero del nuovo re, Luigi XVI che lo invitava a Versailles in quanto era morto il conte de Muy, ministro della guerra e il re, appena salito al trono, lo nominava ministro della guerra (1775). 

Egli, con Luigi XV  – al quale lo aveva presentato la Pompadour – a casa di quest’ultima (l’attuale Eliseo che il re le aveva regalato), passavano intere serate rese divertenti dai suoi racconti (in quel periodo abitava in un appartamento del castello di Chambord, che il re gli aveva concesso); tra gli altri, aveva raccontato alla Pompadour la storia del marchese di Moncada, vissuto sessant’anni prima, del quale, raccontava di essere stato testimone di nozze (!), con un piccante aneddoto, che aveva tanto divertito la marchesa, da averne ricavato una commedia.   

Saint-Germain aveva scritto un libro sulla guerra che aveva dato al maresciallo du Muy e questo lo aveva mostrato a Luigi XV che lo aveva apprezzato, dicendo che avrebbe fatto rumore.

Nel libro sosteneva di voler adottare nell’esercito la punizione, non troppo filantropica, dello schlagen, la punizione corporale di battere il soldato punito con la parte piatta della spada (come si usava fare in Germania); il libro era poi finito nelle mani di Maurepas con il quale fece l’atteso rumore  (in quanto Maurepas si era mostrato contrario ai sistemi che Saint-Germain intendeva adottare) e questo peserà, come vedremo, sui loro rapporti.

Questo libro, manoscritto, era andato smarrito; Saint-Germain, prima di morire aveva mandato a un suo amico tedesco una seconda parte del libro (riguardante l’organizzazione militare che avrebbe dovuto assumere l’esercito francese), che il suo amico aveva fatto pubblicare in Svizzera col titolo “Menoires de M. le Comte de Saint-Germain” (Chez les Librairies Associés, 1779).

 

 

*)  A. Dumas, Histoire de Louis XVI et Marie Antoinette, 3 Voll., Paris 1852

 

 

SAINT-GERMAIN

CHIEDE

ALLA CONTESSA

D’ADHEMAR

DI VEDERE LA REGINA

 

 

P

assiamo ora al racconto della profezia che raccontata da Saint-Germain quando non era più ministro della guerra ed ebbe luogo oltre dieci anni prima della Rivoluzione.

Un bel giorno egli si presenta alla contessa d’Adhemar, dama di Palazzo della regina, alla quale si fece annunciare come conte de Saint-Noel, ma la contessa sapeva che in quei giorni Saint-Germain era Parigi e aveva intuito chi fosse il conte a presentarsi sotto altro nome e pareva che quasi lo attendesse.

Lo fece subito entrare e la contessa scrive: Lo trovai fresco, ben portante e dall’aspetto giovanile e lui disse la stessa cosa di me, ma dubito,  che fosse sincero. Voi, mi disse, avete perduto un amico, un protettore nella persona del defunto re (Luigi XV): io rimpiango questa perdita per me e per la Francia. La Nazione non è di questo avviso  - disse la contessa - essa si aspetta molto dal nuovo regno. E’ un errore, soggiunse Saint-Germain, questo regno sarà funesto. Ma cosa dite, rispose la contessa abbassando la voce e guardandosi intorno. La verità – rispose Saint-Germain è che si formerà una cospirazione gigantesca, con un capo non ancora visibile, che apparirà tra non molto e non farà altro che capovolgere tutto ciò che esiste, salvo a ricostruire un nuovo ordine nei confronti della famiglia reale, del clero, della nobiltà, della magistratura. Certamente, si è ancora in tempo per dipanare l’intreccio; più tardi sarà impossibile.

Ma dove avete appreso tutto questo, in sogno o da sveglio? - chiese la contessa. In parte con le mie orecchie e in parte per rivelazione – rispose Saint-Germain. E soggiunse: – Il re di Francia, ripeto, non ha da perdere tempo.  

Cercherò di ottenere un appuntamento da Maurepas (*) e gli farò presente le vostre apprensioni – gli disse la contessa – egli può tutto ed è con me in gran confidenza.

Egli può tutto – disse Saint-Germain – io lo so, fuorché salvare la Francia o piuttosto, sarà lui che farà precipitare la sua rovina. Quest’uomo vi perderà, signora! – Mi avete detto abbastanza per farvi mandare alla Bastiglia e passarvi il resto dei vostri giorni, signore – gli rispose la contessa. Io non parlo a questo modo, che con amici, di cui mi sento sicuro – soggiunse Saint-Germain.   

La contessa ripropose l’incontro con Maurepas, ma Saint-Germain ribadiva che il ministro si sarebbe rifiutato, peraltro, aggiunge – gli mi detesta. 

La contessa era in dubbio su cosa fare, pensando ai pericoli che le giravano nella testa se si fosse immischiata in questa faccenda; d’altra parte sapeva che il conte era bene a conoscenza della politica europea e temeva di perdere una occasione per servire lo Stato e il re. Il conte intuendo le sue preoccupazioni le disse: Riflettete, io mi trovo a Parigi in incognito; non parlate con nessuno; se volete, venite a trovarmi domani alla chiesa dei Giacobini in rue Saint-Honoré, vi aspetterò alle undici in punto. Preferirei vedervi da me disse la contessa. Volentieri – rispose il conte a domani. Perché si chiedeva la contessa questo regno che si annunciava sotto così felici presagi, cova la tempesta? Dopo aver meditato per lungo tempo su queste parole, essa si risolse a parlarne con la regina, sentendosi soddisfatta di questa decisione; nel frattempo chiedeva a Saint-Germain se si stabiliva a Parigi, ed egli rispose di no, perché non gli permettevano più di  abitare in Francia: Passerà un secolo prima che io ritorni e tutti e due si misero a ridere.

  

 

*) Jean-Frédéric Phélypeaux, conte de Maurepas (1701-1781).

Su di lui madame d’Adhemar racconta che quando si era saputo che Luigi XVI lo nominava primo ministro, questa nomina aveva suscitato una grande sorpresa, in quanto il conte, fin da prima del suo arrivo trionfale a Versailles,  era considerato una nullità e il marchese Montesquiou-Fezensac, presente quando il re aveva mandato il corriere per annunziargli la nomina, aveva commentato che il re si era sbagliato e che la nomina  doveva indirizzarla alla contessa Maurepas, in quanto, si diceva, il conte aveva da lungo tempo abdicato a tutte le sue funzioni in favore della moglie! Ma il più sorpreso, prosegue la contessa d’Adhemar, del colpo di fortuna, era stato proprio lui e la lettera del re gli aveva fatto perdere, in un primo momento, la testa; poi si era messo a saltare a far capriole, infine a ballare con la moglie nel salone di Pontchartain (dove abitava) e con il suo grosso gatto preferito si era dato a una gioia smodata, facendogli i complimenti per il suo ingresso a Versailles, dove gli promise una corte di tutti i nobili gatti del castello!

Ciò che si pensava a Corte di Maurepas, lo vediamo confermato da quanto gli rinfaccia Saint-Germain nella camera della contessa d’Adhemar.

 

 

LA TERRIFICANTE

PROFEZIA DI

SAINT-GERMAIN

SPAVENTA

 MARIA-ANTONIETTA

 

 

L

o stesso giorno, racconta la contessa, si recò a Versailles e nel piccolo “cabinet” trovò madame Misery, prima donna di camera, alla quale disse che aveva bisogno di parlare subito con la regina; la regina disse che poteva riceverla e la contessa, entrata, la trovò davanti a un’incantevole “secrétaire” di porcellana, dono del re, dove stava scrivendo; la regina girando la testa le fece uno dei suoi graziosi sorrisi, dicendole: - Cosa mi volete dire? Poco, madame – rispose la contessa – aspiro a salvare la monarchia. Sua maestà mi guardò meravigliata. Spiegatevi dunque. 

“Nominai subito Saint-Germain – scrive la contessa – e riferii tutto quello che mi era stato detto, della sua intimità con i defunto re, di madame Pompadour, del duca di Choiseul e parlai dei servizi resi dal conte allo Stato e della sua sobrietà diplomatica; dissi che dopo la morte della marchesa (Pompadour) era sparito dalla Corte e si ignorava dove fosse finito; dopo aver stuzzicato la curiosità della regina, le dissi ciò che il conte mi aveva detto la sera prima e la mattina seguente.

La regina parve riflettere e disse. E’ strano, ieri ho ricevuto una lettera misteriosa collegata a ciò che mi state dicendo; mi avverte che riceverò una comunicazione importante di cui devo occuparmi seriamente; la coincidenza mi sembra evidente e sembra venire dalla stessa fonte: –  Cosa ne pensate? – disse la regina. Non saprei cosa dire – rispose la contessa è da molti anni che la regina riceve certi avvertimenti misteriosi ed è solo da ieri che il conte di Saint-Germain è arrivato.  

Dopo tutto – soggiunse la regina – non mi dispiace vederlo, e autorizzava la contessa a portarlo l’indomani in sua presenza con la livrea della casa della contessa e dandole indicazioni per mantenere a Corte l’anonimato.

La mattina seguente ambedue si presentano a Versailles, da madame Misery, e sono  ammessi alla presenza della regina che subito gli dice: – Signor conte, Versailles vi è familiare:- Madame, - risponde Saint-Germain - per circa vent’anni ho avuto l’onore della intimità del defunto re che ho servito con i miei deboli talenti in diverse circostanze e sono sicuro che egli non aveva mai rimpianto di avermi accordato la sua confidenza.

Avete chiesto a madame d’Adhemar di vedermi - disse con solennità la regina, mi auguro che ciò che avete da dirmi meriti di essere ascoltato.

Il partito degli enciclopedisti - risponde Saint-Germain - vuole il potere, non l'otterrà se non con l'abbattimento totale del clero e per ottenere questo risultato capovolgerà la monarchia. Questo partito che cerca un capo tra i membri della famiglia reale ha puntato gli occhi sul duca di Chartres (cugino di Luigi XVI, che morirà sotto la ghigliottina ndr.); questo principe servirà come strumento nelle mani di uomini che lo sacrificheranno, fino a quando gli sarà utile;  gli proporranno la corona di Francia e il patibolo lo attenderà al posto del trono. Ma prima di questo giorno di giustizia, quante crudeltà, che forfait; le leggi non saranno più la salvaguardia degli uomini buoni e la punizione dei cattivi; essi aboliranno la religione cattolica, la nobiltà e magistratura ... – Di sorta che - interruppe la regina con impazienza – che resterà la regalità. Neanche la regalità! ... Ma una repubblica avida il cui scettro sarà l’ascia del boia!

A queste parole non potetti più contenermi scrive la contessa d’Adhemar e permettendomi di interrompere il conte in presenza della regina: Signore esclamai, vi rendete conto di ciò che state dicendo e in presenza di chi state parlando? – In affetti – aggiunse Maria Antonietta alquanto turbata, queste son cose che le mie orecchie non sono abituate ad sentir dire. – E’ così nella gravità delle circostanze che mi prendo la libertà di questa audacia   rispose freddamente Saint-Germain Certamente non sono  venuto con l’intenzione di questo genere di omaggi che possono turbarla, ma può essere un bene mostrare i pericoli che minacciano la sua corona in modo da cercare di sviarli .

– Voi siete positivo, signore, disse Maria Antonietta con sarcasmo. Sono ben rammaricato di dispiacere a sua maestà, ma devo purtroppo dire la verità. Signore – riprese la regina affettando un tono gioviale – la verità può alcune volte apparire inverosimile.

Convengo signora – riprese Saint-Germain – che è questo il caso di applicare questo concetto, ma permettetemi di ricordare che Cassandra aveva predetto la distruzione di Troia e si rifiutarono di crederle. Io sono Cassandra e la Francia è l’impero di Priamo. Alcuni anni passeranno ancora in un calma ingannevole, poi giungeranno da tutte le parti del regno degli uomini avidi di vendetta, di potere e di danaro; essi rovesceranno tutto al loro passaggio. La popolazione sediziosa presterà un appoggio a qualche gran personaggio di Stato; uno spirito di vertigine si impossesserà dei cittadini; la guerra civile scoppierà con tutti i suoi orrori e porterà con sé morte, saccheggio ed esilio. Si rimpiangerà allora di non avermi ascoltato; forse si chiederà di me, ma non sarà più tempo, il temporale sarà passato.

E la regina: – Vedo che questo discorso mi stupisce sempre di più e se non sapessi che il defunto re avesse avuto dell’amicizia nei vostri confronti ... Desiderate parlare al re? – Sì madame - rispose Saint-Germaine – Ma senza la presenza di Maurepas. Egli è mio nemico, del rango di quelli che preparano la rovina del regno, non per malizia, ma per incapacità.

- Voi giudicate severamente un uomo che ha lì’approvazione della massa.

– Egli è più che primo ministro. madame, e a questo titolo egli deve avere degli adulatori.

– Se voi lo escludete dal vostro incontro con il re, voi difficilmente arriverete a sua maestà che non può trattare senza il suo principale consigliere.

– Io sarò agli ordini delle loro maestà, fintanto che esse vorranno servirsi di me, ma poiché non sono alle loro dipendenze, tutta la mia sottomissione costituisce un atto di benevolenza  rispose orgogliosamente Saint-Germain.

– Signore – disse la regina – chi non può trattare in questi tempi, seriamente, una materia così complessa? Dove siete nato?  – A Gerusalemme, madame ... e poi aggiunse, la regina mi permetterà di avere la debolezza di molte persone, di non dire la mia età perché porta sfortuna. Quanto a me, l’Almanacco reale non mi permette di fare allusioni su di me. Addio signore – rispose la regina – la volontà del re vi sarà comunicata.

 

 

LA REGINA

RIFERISCE

LA PROFEZIA

A LUIGI XVI

 

 

D

opo essersi ritirati, Saint-Germain disse alla sua amica che sarebbe rimasto solo quattro giorni a Parigi e poi sarebbe partito; madame d’Adhemar gli chiese come mai partisse così presto e Saint-Germain rispose che pensava che la regina avrebbe riferito al re ciò che lui le aveva detto, Luigi XVI l’avrebbe riferito a sua volta a Maurepas e questo ministro lo avrebbe fatto arrestare: So come vanno queste cose disse e mi ritroverei alla Bastiglia. – Che cosa v’importa – rispose la contessa – voi uscireste dal buco della serratura! Preferirei non dover ricorrere a un miracolo. Addio madame. –  Ma se il re vi fa chiamare? –  Io tornerò. E come farete a saperlo? Ho i miei mezzi, non vi preoccupate. Nell’attesa sarò compromessa? – No madame. 

Egli si allontanò dopo essersi tolto la mia livrea – scrive la d’Adhemar. Rimasi lì inquieta; avevo detto alla regina che per conoscere quanto volesse dirmi, non avrei lasciato Versailles. Due ore dopo vidi arrivare madame Misery, che mi cercava per conto della regina e questo non prometteva nulla di buono.

Trovai la regina che mi sembrò imbarazzata, mentre il re venne verso di me con l’aria rassicurante, mi prese la mano e la baciò con grazia infinita; quando voleva  aveva modi affascinanti:  – Madame d’Adhemar – mi disse che cosa avete fatto del vostro stregone? – Del conte di Saint-Germain, sire? Ha preso la strada per Parigi.

Egli ha  spaventato seriamente la regina; era questo il vostro proposito? – Non pensavo sarebbero venuti fuori tanti particolari. – Non ve ne voglio, ritengo che le vostre fossero buone intenzioni, ma detesto che un estraneo osi annunciare delle rivoluzioni alle quattro parti del mondo, che possono verificarsi nello spazio di un secolo. Per di più egli ha torto a lamentarsi del conte di Maurepas, facendo apprezzamenti su intimità personali sacrificate agli interessi della monarchia; il mio predecessore aveva a cuore la sua amicizia, ma prima di concedergli un incontro, desidero assicurarmi sulle conseguenze che potrebbe avere la comparsa di questo misterioso personaggio; quando verrà, sarete avvertita.

I miei occhi scrive la contessa – si riempirono di lacrime di fronte a questa splendida prova della bontà delle loro maestà, perché la regina mi parlò con tanto affetto e mi ritornò la calma, ma ero contrariata dalla piega che aveva preso questa faccenda, felicitandomi sulla circostanza che Saint-Germain aveva previsto tutto in anticipo.

Due ore dopo ero ancora nella mia camera assorta nelle mie riflessioni quando sentii bussare alla porta e annunciato monsignore il conte di Maurepas. Mi alzai per riceverlo, mostrandogli un vivace sorriso, come se si fosse trattato del re di Francia; egli avanza sorridendo: – Scusate, madame – mi disse con disinvoltura – di questa visita improvvisa, ma ho da chiedervi delle informazioni e la galanteria esige che venissi a trovarvi personalmente. Finiti i preliminari: – Bene – riprese a dire – il vostro vecchio amico conte di Saint-Germain é tornato? Ne sta combinando qualcuna delle sue, ricomincia con i suoi raggiri; vorrei ricredermi: – Credetemi – aggiunse – conosco il pellegrino meglio di voi, madame; solo una cosa mi stupisce; gli anni non mi hanno risparmiato e la regina dice che il conte si è mostrato con un viso di un uomo di quarant’anni. Chiunque egli sia, sappiamo delle cose spaventose che si raccontano su di lui  ... Egli non vi ha dato il suo indirizzo, suppongo. – No signor conte. – Lo scopriremo, i nostri segugi di polizia hanno il naso fino; per il resto, il re vi ringrazia per il vostro zelo; non  capiterà a Saint-Germain niente di più increscioso che essere rinchiuso alla Bastiglia, dove sarà ben nutrito e tenuto al caldo finché non si degnerà di dirci tutte le cose strane che racconta.  In questo momento la nostra attenzione fu distratta dal rumore che fece la porta della mia camera aprendosi... Era il conte di Saint-Germain che entrava! ... Mi scappò un grido, tanto che Maurepas si alzò bruscamente e devo dire che i tratti del suo viso erano leggermente alterati. Il taumaturgo si diresse verso di lui: – Conte de Maurepas, gli disse, il re vi ha chiamato per darvi dei buoni consigli e voi non pensate che a conservare la vostra autorità. E opponendovi a quello che io vedo della monarchia, significa perdere la monarchia, perché non ho che un tempo limitato da dare alla Francia e questo tempo non tornerà che dopo la discesa nella tomba di tre generazioni consecutive. Ho detto alla regina tutto ciò che mi è stato concesso di apprendere; le mie rivelazioni al re sarebbero state più complete; è una sfortuna che voi siate intervenuto tra sua maestà e me. Io non ho alcun rimprovero da farmi quando l’orribile anarchia devasterà tutta la Francia. Queste calamità voi non le vedrete (vero, perché Maurepas morirà nel 1781! ndr.), ma questo è già molto per la vostra memoria. Non vi attendete alcun riconoscimento della posterità, ministro frivolo e incapace che vi trovate tra coloro che perdono gli imperi.

Saint-Germain dopo aver così parlato, senza riprendere fiato, si diresse verso la porta e uscendo la chiuse e scomparve.

Ero a disagio – scrive la contessa di fronte a Maurepas che era annientato, forse furioso, ma talmente spaventato che passarono più di dieci minuti prima che riprendesse il suo sangue freddo.  – In verità, esclamò, ecco un divertente, impudente; permettetemi, madame, di raccomandarlo a chi di diritto. Si alzò, recandosi nell’anticamera dove tre o quattro dei suoi lo attendevano. Egli ordinò di correre a cercare la persona che era uscita e di consegnarla al prevosto del castello; l’ordine fu subito eseguito. Al momento io ero inquieta e irritata; Maurepas al contrario cercava di apparire brioso e grazioso ma un terrore superstizioso lo dominava. I suoi scagnozzi ritornarono senza aver trovato Saint-Germain; il suo nome non fu pronunciato, ma erano stati dati i suoi connotati nel castello e nella città; di lui non si trovò nessuna traccia.

Maurepas, al nostro primo incontro mi aveva detto: – Un poliziotto l’ha visto salire su un drago alato, somigliante a quelli che vediamo all’Opera, ciò che prova che i nostri decoratori hanno dei buoni modelli! – Questa battuta fu l’epilogo di un’avventura sinistra nei suoi particolari, la regina pensò ancora qualche volta a questa avventura, ma poi finì per dimenticare, conclude d’Adhemar.

Il re e la regina tornarono ai loro piaceri, balli e feste, senza dar peso a quanto aveva detto Saint-Germain (ma anche la madre di Maria-Antonietta le aveva scritto: “Votre avenir me fait trambler–il vostro avvenire mi fa tremare; per sua fortuna l’imperatrice  morirà prima di vedere la sua fine!

Abbiamo usato il termine profezia, che tale poteva essere per come era stata prevista e descritta la Rivoluzione; in effetti era stata una lucida analisi della situazione del tempo e altrettanto lucida previsione di quello che sarebbe successo se il re, la regina e il loro ministro (morto nel frattempo, come era morto lo stesso Saint-Germain), fossero stati più capaci, accorti e illuminati, dal momento che avrebbero avuto tutto il tempo per apprestare i mezzi per evitare la catastrofe e loro triste fine.

 

 

LA SENTENZA

DELLA GRAN CORTE

DI GIUSTIZIA E

LA FINE DELLA

LAMOTTE

 

 

L

a Gran Corte di Giustizia del Parlamento, il 10 aprile 1786, sulle conclusioni del Procuratore del re, dichiarava che le parole “approvato” e la firma Maria-Antonietta di Francia fraudolentemente apposte a margine dello scritto intitolato “Proposizioni e condizioni del prezzo e del pagamento” del collier oggetto del processo e falsamente attribuito alla regina, fossero eliminate e cancellate.

Inoltre, Marc’Antonio-Nicolas de Lamotte, assente, era condannato in contumacia a essere battuto e fustigato con verghe e  marchiato con ferro rovente con tre lettere GAL (di galeotto) sulla spalla destra e, condotto sulle galere di sua maestà, detenuto a servirlo come forzato in perpetuo; i suoi beni erano confiscati per il re o per chi appartenessero; da essi doveva essere prelevata una ammenda di duecento lire.

Reteux de Villette era bandito in perpetuo dal regno; Jeanne Valois de Saint-Remy de Luz, moglie di Marc’Antonio Nicolas de Lamotte, era condannata,  con una corda al collo, a essere battuta e fustigata nuda con le verghe e marchiata con ferro rovente con la “V” (voleur-ladro) sulle due spalle e condotta al riformatorio della Salpétrére per rimanere detenuta in perpetuo; i suoi beni e quelli di Reteux de Villette, erano confiscati per il re o per chi appartenessero e su di essi sarebbe stata prelevata la somma di duecento lire di ammenda.

Relativamente alle memorie scritte dalla signora de Lamotte, se ne ordinava la distruzione in quanto contenevano fatti falsi, ingiuriosi e calunniosi nei confronti del cardinale de Rohan e di Cagliostro, dichiarati assolti e rimessi in libertà.

La contessa (all’epoca ventinovenne), alla lettura della sua condanna, si turba e per rabbia e disperazione è presa  da convulsioni, si rotola per terra, lancia spaventose urla e accuse contro la regina (Georgel riferisce che il giudice per farla tacere le fece mettere una mordacchia nella bocca); alla fine la prendono e la portano nel cortile del Palazzo per eseguire la condanna; quando l’esecutore avvicina la sua mano al colletto del suo vestito per toglierlo, lei gli morde la mano, infine è spogliata dei suoi abiti per imprimerle  la “V” con il ferro rovente; le sue grida e le sue imprecazioni raddoppiano, ma alla fine la sentenza è eseguita ed è condotta al riformatorio della Salpétriére per rimanervi tutto il resto della sua vita.

Ma la contessa trovò il modo di evadere dalla prigione travestita da uomo, recandosi a Londra dove si unì a suo marito; l’evasione, era stato detto, certamente aveva potuto essere compiuta con l’aiuto di qualche connivenza ministeriale; la contessa Lamotte subito dopo la sentenza di condanna, tramite il suo avvocato, aveva presentato domanda di revisione del processo,

Il suo memoriale raccontava i fatti secondo la visione della contessa e non avevano alcun riscontro con la realtà; sia lei, sia il marito negavano di aver disfatto la collana e aver venduto i singoli diamanti, e come abbiamo visto, la contessa aveva accusato di ciò Cagliostro e la moglie!

Scriveva l’abate Georgel:  la vipera che aveva vomitato questo veleno non aveva potuto godere per molto, a Londra, il frutto dei suoi crimini in quanto perì in maniera tragica: dopo una nottata licenziosa era stata spinta da una finestra del terzo piano”.

 

                                                                  

- 1793 -

IL TRIBUNALE

RIVOLUZIONARIO

 CONDANNA

MARIA-ANTONIETTA

ALLA PENA CAPITALE

 

 

L

a Rivoluzione (1793, Anno secondo della Repubblica) aveva istituito i Tribunali rivoluzionari; Maria-Antonietta (non più regina), detta “di Lorena d’Austria, vedova Capeto” (Luigi XVI - 1754-1793 - era stato ghigliottinato nel precedente mese di gennaio (*) ), era stata convocata (14 ottobre) dal terribile Tribunale rivoluzionario per rispondere alla giustizia rivoluzionaria dei reati commessi.

L’atto di accusa letto dal cancelliere Fabricius, redatto dal procuratore Fouquier-Tinville, costituiva un misto tra accuse politiche, “di aver dilapidato, con l’aiuto dell’esecrabile Calonne (ministro delle finanze), in maniera spaventosa, le finanze dello Stato, frutto del sudore del popolo, per soddisfare piaceri disordinati (senza alcun riferimento alla collana) e di cospirazione; e private, di immoralità, relativamente alla quale, il pubblico accusatore, richiamava le figure di Fedregonda, Medici, Messalina, Brunilde; e ancora, nella sua indignazione rivoluzionaria, il procuratore, la paragonava ad Agrippina, per i suoi rapporti incestuosi con il figlio”.

Inoltre, il pubblico accusatore definiva “la vedova Capeto, flagello e sanguisuga dei francesi, da quando è arrivata in Francia, per gli intrighi intessuti con Rohan - qualificato prima cardinale”  (come si diceva col nuovo linguaggio rivoluzionario).

In proposito i giudici del Tribunale rivoluzionario, erano al corrente dell’intrigo della collana e naturalmente  ritenevano, per partito preso, colpevole la regina e innocente de Lamotte; infatti, durante il suo interrogatorio, il Presidente, relativamente all’accusa dello sperpero di danaro per la costruzione del piccolo Trianon (caro a Maria-Antonietta, perché sottratta all’etichetta che vigeva a Versailles, dove si riteneva fossero organizzate orge), le chiede incidentalmente: “Non è stato al Trianon che avete conosciuto la famosa Lamotte”? La regina risponde di non averla mai vista; e il Presidente soggiunge: “Non è stata la vostra vittima nell’affare della collana”?  E la regina: “Non può essere stato in quanto non l’ho mai conosciuta”. E il Presidente: “Persistete nel negare di averla conosciuta. Il mio piano – risponde la regina – non è il diniego, è la verità che ho detto e continuerò a dirla”.

A questo punto il Presidente porta le domande su altri argomenti.

I capi di imputazione contestati, erano i seguenti (riassunti per la giuria):

1. Maria-Antonietta Lorena-Austria vedova di Luigi Capeto è accusata per l’esistenza di manovre e intelligenze con potenze straniere e altri nemici esterni della Repubblica; le dette manovre e intelligenze tendenti a procurare ai suoi nemici aiuti in denaro e a farli entrare all’interno del territorio francese e a facilitare i loro vantaggi con le armi.

2. Maria-Antonietta Lorena-Austria, vedova di Luigi Capeto è accusata di aver cooperato a queste manovre e aver intrattenuto corrispondenza.

3. Consta altresì l’esistenza di un complotto e cospirazioe tendente a fomentare, all’interno della Repubblica la guerra civile, armando i cittadini gli uni contro gli altri   

4. Infine Maria-Antonietta Lorena-Austria è accusata di aver partecipato a questo complotto e cospirazione.

La giuria dopo un’ora di discussione, conferma i capi di accusa; il Presidente pronuncia quindi la sentenza di morte con confisca dei beni in favore della Repubblica; la esecuzione ebbe luogo il 16 Ottobre 1793 a mezzogiorno e un quarto.

Maria-Antonietta fu condotta al supplizio (**) seguendo il percorso dal Palazzo di Giustizia a Piazza della Rivoluzione (nuovo nome di place de la Concorde), passando per rue Saint Honoré dove aveva concordato con l’abate Magnien, che da un numero di questa via, le avrebbe dato la benedizione.

Tutto il percorso era delimitato dalla guardia nazionale; la regina era su una carretta seduta su una panca con le mani legate dietro il dorso; era vestita di un semplice abito di tela bianca e una sottoveste nera, con al collo uno scialle di mousseline e un mantello da camera picchiettato di bianco; una cuffia le copriva i capelli bianchi (aveva trentotto anni!); abbattuta dalla tensione degli ultimi giorni, molto pallida, appariva invecchiata, gli occhi erano fortemente cerchiati: sembrava che non vedesse e non sentisse nulla; ma quando salì le scale del patibolo, riapparve tutta la dignità della regina e sembrava che salisse la grande scalinata di Versailles; un confessore l’aveva seguita e continuava nelle sue inutili esortazioni creando confusione, ma il boia (***) fece cessare questo straziante supplizio, allontanandolo.

Mentre gli aiutanti del boia la legavano sulla bascula, la regina ebbe il tempo di rivolgere gli occhi al cielo, esclamando: Addio figli miei, vado a raggiungere vostro padre. Appena finite queste parole la lama si abbatté sul suo collo

Dopo che la sua testa era caduta nella cesta, il boia (Sanson), su richiesta dell’ufficiale Grammont, ordinò a suo figlio (aiutante-apprendista) di mostrarla al pubblico e il giovane apprendista fece il giro del patibolo mostrando la testa con le palpebre che battevano ancora; l’immensa folla era rimasta in silenzio, solo qualche voce, nelle vicinanze del palco aveva gridato “viva la Repubblica”.

 

*) Luigi XVI era giunto in una berlina tirata da due cavalli preceduta da un corpo di cavalleria e  circondata da una doppia fila di cavalieri, scortata da un distaccamento della stessa arma;   scendendo dalla carrozza, scrive Sanson, il re apparve  più degno, più calmo più maestoso di quello che avevo visto a Versailles e alla Tuilleries; il popolo sembrava colpito da stupore e guardava in cupo silenzio; il rullo dei tamburi non cessava di battere; uno degli aiutanti gli legò le mani che avevano portato lo scettro; il re, sostenuto dal prete salì con maestà le scale del patibolo; chiese a uno degli aiutanti come mai i tamburi non cessassero; l’aiutante fece segno di non saperlo; egli allora fece con la testa un movimento imperativo ai tamburi, che cessarono per un istante e rivolgendosi al popolo, disse: “Francesi voi vedete che il vostro re sta per morire per voi. Possa il mio sangue cementare la vostra fortuna. Muoio innocente di tutto quello di cui sono stato accusato.  Il re stava per continuare quando Santerre, capo dello stato-maggiore, fece segno ai tamburi che ripresero a rullare, non permettendogli di continuare; mentre la lama stava per cadere sulla sua testa, potette sentire il prete che diceva: “Figlio di san Luigi, sali in cielo”!

Solo qualche forsennato aveva lanciato un grido di trionfo; la maggior parte della folla era stata presa da profondo orrore e fremente dolore.

**) Non possiamo nascondere che le pagine che descrivono questi momenti siano strazianti e  suscitano ancora grande commozione!

***) E’ interessante sapere che il boia era il penultimo di una intera generazione che si era occupato di questo triste compito. Tra l’altro rivendicava la dignità di non essere chiamato con quel nome infamante ma per rispetto per la professione chiedeva che fosse usato il termine di “esecutori dei giudizi criminali”. Quando fu chiesto all’ultimo dei Sanson cosa provava a togliere la vita a un suo simile, dopo avere esitato lungamente, aveva risposto: “Avevo gran fretta, signore, che tutto fosse finito”.

Il penultimo esponente della famiglia Sanson aveva avuto l’idea di scrivere le Memorie dei Sanson: Sette generazioni di esecutori 1688-1817, Paris 1862, in sei volumi che ebbero grande successo editoriale tra le opere pubblicate in Francia, sull’esercizio della giustizia criminale.


        

 

DESCRIZIONE E

VALORE

DELLA COLLANA

 

La descrizione è tratta dalla dichiarazione giustificativa data

dai gioiellieri al cardinale de Rohan;

il valore di unmilione seicentomila lire era pari a cinquecento Kg. di oro del 1785,

intorno a cinquecento milioni degli attuali euro.

 

 

 

 

                                                                    

1. Primo filo composto di diciassette diamanti del peso tra 18 e 33 grani (*) ciascuno;

2. Quarantuno diamanti formano i tre festoni legati al primo filo del peso da 12 a 20 grani ciascuno;

3. Due diamanti a goccia pendenti nei due festoni di destra e di sinistra del peso di 50 grani;

4. Un brillante a goccia che pende da altri tre, legato al filo centrale di 34 grani: pietra di qualità superba;

5. Quattordici brillanti che circondano il precedente pendente del peso di 75 ottavi di carati;

6. Tre brillanti che tengono il pendente di 13 grani;

7 Un brillante pendente dal festone del peso di 45 grani;

8. Ventuno brillanti dai quali pende il detto, pesano 10 carati:

9. Tre brillanti della triade sottostante del peso da 17 a 20 grani, pietre della più grande bellezza;

10.  Centoventotto diamanti pesanti che formano un cordone che dal primo filo arriva al nodo di glandole, tutte pietre assortite da 8,9,10,12 grani;

11. Seguono sessantadue brillanti, da 3 a 4 grani;

12 Un brillante in mezzo alla rosetta, pietra molto bella senza alcun difetto del peso di 45 grani;

13. Con otto brillanti di contorno, pietre da 12 a 13 grani ciascuna;

14. Novantasei brillanti formanti le due bande laterali assortite del peso da 6,7,8,9 grani;

15. Quarantasei brillanti, piccoli castoni nelle indicate bande del peso da 2 a 3 grani ciascuno;

GHIANDE:

16. Quattro brillanti in capo alle ghiande, pietre superbe e assortite del peso di 14 e 15 grani;

17. Dodici brillanti pendenti tra le ghiande, superbe per bianchezza del peso da 16 a 26 grani;                                                                              

18. Sedici brillanti tondi nelle ghiande del peso da 11 a 14 grani ciascuno;

19. Dodici brillanti tondi tra le ghiande del peso da 8 a 10 grani ciascuno;

20. Trenta brillanti tondi tra le ghiande del peso da 6 a 8 grani ciascuno;

21 Trenta brillanti tondi tra le ghiande del peso da 4 a 6 grani ciascuno.

 

 

 

*) Tre grani (3.08647/3.086) corrispondono a un carato (per il diamante il Carato si scrive con la C, quello dell’oro con K).

 

 

 

 

 

 

FINE